I Testimoni di Geova e la disassociazione

Testimoni di Geova si diventa e non si nasce. Quindi, essere cristiani testimoni di Geova è una scelta libera e consapevole che ogni membro condivide i valori, precetti e vita di comunità. Questo è uno dei motivi per cui noi testimoni di Geova non battezziamo i neonati ma aspettiamo che sia il cuore della persona stessa a desiderarlo. Si entra liberamente e con altrettanta libertà si può uscire, anche se alcuni vorrebbero farci credere il contrario.


Come si può uscire dall’organizzazione dei Testimoni di Geova? Normalmente, l’uscita dall’organizzazione avviene in tre modi:

  • Diventando inattivi e non frequentando più la comunità.

  • Presentando una semplice lettera di dissociazione.

  • Essere disassociati a causa di una trasgressione grave senza pentirsi.


La nostra trattazione riguarderà solamente la disassociazione visto che questa disciplina viene spesso attaccata duramente dai nostri critici. Per quanto riguarda gli inattivi, benché non frequentano più la congregazione dei Testimoni di Geova, rimangono comunque associati ad essa, a meno che, non venga fatta un’esplicita richiesta da parte loro di lasciare l’organizzazione.

La disassociazione


La disassociazione (o scomunica), viene spesso ritenuta una cosa del passato, una disciplina severa che ricorda la caccia alle streghe e l’inquisizione. A motivo di ciò, molte persone rimangono sorprese sapendo che i testimoni di Geova la prendono sul serio. Il tema della disassociazione, presentato da alcuni in maniera scorretta, ad esempio da organizzazioni antisette e apostati, ha molte implicazioni sia dal punto di vista biblico che umano.


Una cosa sicura, è che questo tema non è mai stato preso in seria considerazione. A volte, e con astuzia sottile, alcuni oppositori e organizzazioni antisette, trattano l’argomento solo dal punto di vista umano e talvolta dal punto di vista teologico senza però conciliare i due aspetti insieme. Devo anche dire che raramente si comprende appieno il significato della disassociazione, di cui non viene sufficientemente valutata l’importanza.


Leggendo alcune informazioni provenienti da fonti non scientifiche, con malizia, gli oppositori sostengono insistentemente che i testimoni di Geova sono persone privi d’amore, insensibili verso i propri membri e specialmente verso i loro familiari insinuando che quando un componente della congregazione commette un peccato o mette in dubbio un insegnamento qualsiasi della loro società, viene immediatamente disassociato, e dopo la sua disassociazione tutti gli altri componenti troncano qualsiasi rapporto sociale con lui.


Il linguaggio sospettoso utilizzato maliziosamente suscita sentimenti confusi e talvolta di rabbia in molte persone, anche se quasi tutte convengono che ogni organizzazione, sia essa religiosa, politica o commerciale, deve avere qualche specie di disciplina.


La scomunica è stata largamente usata nella storia politica e dalla Chiesa Cattolica in particolare. Nella Chiesa, i peccatori rischiavano la scomunica temporanea mentre gli eretici rischiavano la scomunica definitiva, come difesa della comunità stessa. Oggi questa pratica è stata trascurata dalla maggioranza delle chiese anche se non del tutto.


Dovendo quindi tracciare un quadro sia pure riassuntivo della disassociazione dei testimoni di Geova, la prima cosa da chiedersi è come mai rarissime sono le opere di professionisti, ad esempio universitari, che possano esserci d’aiuto. Perché? Un certo peso devono aver avuto in ciò i vari pregiudizi degli scrittori stessi. Anche gli scrittori sono uomini.


Sorgono quindi delle domande che esigono delle risposte obiettive:

  • Cos’è la disassociazione?

  • È una regola inutile o è un principio biblico proficuo?

  • Come la applicano i testimoni di Geova?

  • I testimoni di Geova sono rigidi, severi e inflessibili con i loro membri?

  • Sono gli unici ad applicarla?

  • Chi ha un parere diverso dell’organizzazione dei testimoni di Geova viene disassociato?


A cominciare dal 1952, il corpo direttivo dei testimoni di Geova stabilì in modo formale la disposizione di disassociare i peccatori impenitenti. Quelli che commettevano gravi peccati senza pentirsi, erano espulsi dalla congregazione.


Questa è la definizione che ne dà l’enciclopedia biblica “Perspicacia“:

“Azione giudiziaria di scomunica o disassociazione dei trasgressori da una comunità o organizzazione. Questa facoltà rientra nei diritti di ogni associazione religiosa, ed è paragonabile al potere degli stati politici e di certe autorità locali di comminare la pena capitale, di mettere al bando e di espellere. Nella congregazione di Dio il provvedimento dell’espulsione viene preso per salvaguardare la purezza dottrinale e morale dell’organizzazione. L’esercizio di questo potere è necessario per garantire l’esistenza stessa dell’organizzazione, e ciò vale in particolare per la congregazione cristiana, che deve rimanere pura e conservare il favore di Dio per poter essere da lui impiegata e rappresentarlo”. (Perspicacia facendo uso delle Scritture, vol. 1 p. 868- Ed. dalla CCTDG))

Tenete presente che i testimoni di Geova, disassociando un persona, operano con amore e rispetto. Il provvedimento della disassociazione non compromette in alcun modo i diritti fondamentali della persona come la sua dignità e la sua privacy, è legittimo e insindacabile. È anche vero che la persona disassociata può presentare appello più volte e ciò conferma il completo rispetto dei diritti individuali. Gli insegnamenti e i principi dell’organizzazione, nonché il buon senso e la sensibilità degli anziani di congregazione, impediscono di disassociare qualsiasi membro senza avere prima fatto tutto il possibile per aiutare e recuperare la persona che ha sbagliato.

Comunque, anche dopo la disassociazione, la persona coinvolta può partecipare a tutte le adunanze in qualsiasi congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Invece, la storia della chiesa cattolica ricorda che lo scomunicato era ai margini della società. Nessuno poteva dargli aiuto, fornirgli cibo e alloggio, veniva privato totalmente o parzialmente dei diritti politici e civili. Questa punizione, significava la morte civile e di conseguenza il più delle volte anche quella fisica. Perfino l’imperatore, l’uomo all’epoca più potente del mondo, doveva temerla e, per farsela togliere, era costretto ad umiliarsi scalzo e penitente di fronte il Papa.


Sorge un’altra domanda che spesso viene trascurata volontariamente dai mass-media, ed è la seguente: La disassociazione è una regola stabilita dal corpo direttivo dei testimoni di Geova o è un principio biblico che i veri cristiani devono seguire? Nel corso della nostra trattazione, esamineremo due aspetti fondamentali:

  • Cosa dice la Bibbia?

  • Come si comportavano i primi cristiani con i peccatori impenitenti?

Cosa dice la Bibbia?


L’apostolo Paolo, nella prima lettera ai Corinti (cfr. 1 Corinti 5:5,11,13) ordinò l’espulsione di un peccatore che aveva rapporti con la moglie del proprio padre. Si valse di questa autorità anche per disassociare alcuni che considerava apostati come Imeneo e Alessandro. (cfr. 1 Timoteo 1:19,20). A differenza di molte organizzazioni religiose che tendono spesso a sottovalutare la disassociazione, in quelle circostanze Paolo e Giovanni non usarono mezzi termini.


Le trasgressioni passibili di disassociazione nella congregazione cristiana dei testimoni di Geova secondo la Bibbia sono: fornicazione, adulterio, avidità, estorsione, furto, menzogna, ubriachezza, linguaggio oltraggioso, spiritismo, omicidio, idolatria, apostasia e il causare divisioni nella congregazione. Anche se chi commette queste cose non viene automaticamente disassociato come vedremo più avanti (cfr. 1 Corinti 5:9-13; Tito 3:10,11; Apocalisse o Rivelazione 21:8). Prima della disassociazione, colui che commette peccati gravi, deve essere aiutato e/o ammonito prima che sia preso contro di lui questo provvedimento. Bisogna tenere presente inoltre, che il provvedimento della disassociazione, ha sempre come obiettivo finale il recupero spirituale della persona come è esposto nella seconda lettera ai Corinti (cfr. 2 Corinti 2:5-11).


Vediamo ora come dovrebbero comportarsi i singoli testimoni di Geova con chi è stato disassociato dalla congregazione. La prima lettera ai Corinti 5:11 dice:

“Cessate di mischiarvi in compagnia di qualcuno chiamato fratello che è fornicatore o avido o idolatra o oltraggiatore o ubriacone o rapace, non mangiando nemmeno con un tal uomo”. L’apostolo Giovanni aggiunge un particolare in più: “Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo, poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse”.

Alla luce di quanto sopra, è evidente come la disassociazione non sia una regola stabilita dal corpo direttivo ma un principio biblico di cui i veri cristiani devono tener conto. Qualcuno potrebbe obiettare e dire che i testimoni di Geova interpretano alla lettera questi versetti biblici. L’interpretazione letterale di questi versetti in parte è vera. Ma è doveroso a questo punto chiederci; cosa poteva avere in mente l’apostolo Paolo quando disse le parole: “cessate di mischiarvi… e non mangiando nemmeno con un tal uomo”? Cosa poteva avere in mente l’apostolo Giovanni quando disse, “non ricevetelo in casa e non salutatelo”? Perché queste parole non dovrebbero essere considerate in senso letterale? C’è qualche riferimento che ci aiuta a capire il contrario? Come si dovrebbero esattamente interpretare queste scritture bibliche? Se voi foste il corpo direttivo dei testimoni di Geova, come le avreste interpretate?


Rileggeteli di nuovo e riflettete attentamente sul loro contenuto. Il messaggio è chiaro: non mischiarsi in compagnia dei trasgressori e nemmeno salutarli. Per quanto rigida e antipatica possa essere questa regola biblica, i veri cristiani la devono rispettare. Potrebbe un’organizzazione religiosa, che segue sinceramente Dio e la sua Parola, la Bibbia, ignorare quelle scritture e agire come se non esistessero? La vera chiesa o congregazione cristiana non è legittimata a mettere in pratica solo le regole bibliche che appaiono popolari e accettabili alla maggioranza e rifiutare le altre. Una persona onesta e ragionevole deve ammettere che Paolo e Giovanni, nel contesto, non parlavano metaforicamente. Gli apostoli e i primi cristiani non usano mezzi termini e nemmeno si preoccupano di apparire impopolari quando applicano i principi biblici nelle congregazioni.


Alcuni oppositori, con astuzia sottile citano la seconda lettera di Giovanni (cfr. 2 Giovanni 8-11) e la applicano solo a chi rinnega il Cristo. Secondo la loro interpretazione, il comando di non associarsi e salutare i disassociati si applica solo a quelli che rinnegano il Cristo ma non a quelli che credono ancora in Gesù. In poche parole, vorrebbero dimostrare che l’interpretazione biblica dei testimoni di Geova è troppo riduttiva e non deve essere applicata a coloro che in qualche misura credono ancora in Cristo Gesù, in Dio e nella Bibbia, e sono in disaccordo con la congregazione dei Testimoni di Geova su alcuni punti specifici.


Qual è la corretta interpretazione di questo versetto? Nel contesto, Giovanni parla chiaramente delle persone che non confessano Gesù Cristo venuto nella carne o che negano che fosse lui il Cristo e il Redentore. Per una corretta interpretazione di questo versetto il lettore non dovrebbe ricorrere ad argomentazioni filosofiche e personali per aggirarne le esplicite dichiarazioni o per giustificare una tesi personale e preconcetta abbandonando il vero punto di vista morale della Bibbia. Nell’interpretare questo ed altri versetti, i testimoni di Geova lasciano che sia la Bibbia stessa a darne la spiegazione, anziché proporre le loro teorie su ciò che significano. Di solito in altre parti della Bibbia si trovano sempre degli elementi che aiutano a capire il significato di altri versetti. Questo non è stato seguito correttamente dagli oppositori in quanto citano solo la seconda lettera di Giovanni 8-11, senza consultare o armonizzarla appropriatamente ad altre scritture bibliche.

Cosa dicono altre scritture bibliche?


Per esempio, la summenzionata scrittura di 1 Corinti 5:9-13, consiglia “di cessar di mischiarsi in compagnia di alcuno chiamato fratello…”. Questa scrittura è molto chiara, non fa nessun riferimento a quelli che rinnegano il Cristo, anzi, comanda di cessar di mischiarsi in compagnia di fratelli, che indubbiamente credono ancora in Gesù Cristo ma che, secondo Paolo, non meritano la compagnia dei cristiani. Il motivo? Non si sono comportati in modo degno del nome di Gesù e della sua congregazione. Queste due scritture si completano a vicenda, a prescindere dall’interpretazione che ne diamo.


Ma cerchiamo di approfondire meglio questo argomento. Coloro che sollevano obiezioni fanno notare che il cattolicesimo e il protestantesimo permettono opinioni eterodosse in seno ad esse. Affermano che persino alcuni ecclesiastici che non sono d’accordo con certe dottrine fondamentali della loro chiesa conservano ancora la loro posizione. Con questa accusa gli oppositori vorrebbero dimostrare che nelle congregazioni dei testimoni di Geova non esiste libertà di pensiero.


Sorprende che l’accusa venga mossa anche da cattolici che affermano di conoscere bene la Bibbia e la storia, i quali dimenticano (il corsivo in questo caso è d’obbligo) che secondo il diritto canonico della chiesa cattolica “Colui che nega una verità da credere per fede divina e cattolica o la mette in dubbio oppure ripudia totalmente la fede cristiana e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito come eretico o come apostata con la scomunica maggiore; il chierico può essere punito inoltre con altre pene, non esclusa la deposizione.” Can. 1436 – § 1. Link


Quindi come stanno realmente le cose? Benché esistano progressisti e conservatori in quasi tutte le religioni, in profondo disaccordo fra loro, ciò non dimostra che sia giusto e corretto dal punto di vista biblico. Perché no? L’insegnamento di opinioni divergenti non è compatibile con il vero cristianesimo indipendentemente da come la pensano gli altri. L’apostolo Paolo in 1 Corinti 1:10 dice chiaramente: “…vi esorto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, a pensare tutti alla stessa maniera, perché non vi siano in mezzo a voi divisioni, ma siate perfetti nello stesso pensiero e nel medesimo sentimento”. Pertanto, la Bibbia non ammette divisioni e pensieri diversi su cosa sia il cristianesimo. In poche parole c’è un solo cristianesimo e non tanti cristianesimi diversi.


Inoltre, in Efesini 4:3-6 si dice che i cristiani dovevano cercare “d’osservare premurosamente l’unità dello spirito nell’unificante vincolo della pace. Vi è un solo corpo, e un solo spirito, come foste chiamati nell’unica speranza alla quale foste chiamati; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e Padre di tutti”. Il cattolicesimo e il protestantesimo di oggi ammettono opinioni divergenti tra gli ecclesiastici e i laici perché assumono una posizione relativista e pensano che non si possa essere sicuri di quale sia esattamente la verità e chi la possa possedere e seguire. Per di più, nella misura in cui credono nell’ecumenismo, sono costretti a non prendere troppo sul serio le divergenze dottrinali.


La lettera agli Efesini 4:11-13 chiarisce ancora meglio il concetto: “…finché perveniamo tutti all’unità della fede e dell’accurata conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo fatto”. È possibile l’unità della fede se ci sono opinioni diversi nella congregazione? È ovvio che la base per venire accettati come componenti dei testimoni di Geova non può essere semplicemente il credere in Dio, nella Bibbia, in Gesù Cristo, e così via. Sia il papa cattolico che l’arcivescovo anglicano di Canterbury che professano di credere nelle stesse cose, eppure i fedeli che appartengono a una di queste due chiese non possono appartenere all’altra. In modo simile, il semplice fatto che uno professi queste credenze non lo autorizza a identificarsi come testimone di Geova. Per essere testimoni di Geova occorre accettare tutto l’insieme degli insegnamenti della Bibbia, incluse quelle dottrine scritturali che sono proprie dei testimoni di Geova. Accettare attivamente o passivamente le regole di un'organizzazione, di per sé non è conformismo e non dimostra nemmeno che la persona non ha libertà di pensiero. Il fatto che una persona ubbidisce attivamente o passivamente alle leggi dello stato, vuol dire forse che non ha libertà di pensiero? (Per maggiori informazioni sulla libertà dei singoli testimoni di Geova nelle congregazioni, vedi l’articolo: Il Fascino della Libertà illusoria).


Quindi, l’accusa secondo la quale, “coloro che credono ancora in Cristo ma che hanno un punto di vista personale diverso da quello dell’organizzazione e creano perfino divisioni nelle congregazioni, non dovrebbero essere disassociati”, non ha alcuna base biblica e logica.


Riflessione: Perché chi lancia un’accusa del genere non prende mai in esame quanto detto sopra? È troppo evidente che la loro trattazione risulta a senso unico per dimostrare una tesi preconcetta. Quando leggete articoli di questo genere vi siete mai chiesti chi è l’autore? Perché scrive l’articolo? Cosa vuole dimostrare? Cosa offre in cambio?

La disassociazione è ingiusta?


Asserire che i testimoni di Geova vengono disassociati ingiustamente pagando troppo duramente, anche con forti ripercussioni sulla salute per un errore che non avrebbero commesso, è un gravissimo errore di valutazione e assenza di competenza nella ricerca accademica. Con ciò, vorrebbero far apparire i comitati giudiziari come strumenti troppo severi, ingiusti e poco amorevoli.


Ma c’è di più, sostengono gli oppositori, che i disassociati non ricevono mai risposte alle loro domande e dubbi che pongono sull’organizzazione. Non riescono a comprendere perché i loro ex-fratelli testimoni di Geova non accettano di dialogare con loro anche se sono sempre stati attivi nell’organizzazione. Come conseguenza, alcuni si sentono abbandonati, buttati via come i più incalliti dei peccatori perdendo perfino la fiducia in sé stessi. Tutto questo in nome di una giustizia che considerano umana e che non rispecchia affatto lo spirito cristiano dei vangeli. (Per maggiori informazioni sulle esperienze negative, vedi l’articolo: Esperienze negative).


Per far sentire in colpa tutti i testimoni di Geova che sono felici della loro scelta di religione, riportano delle testimonianze di alcuni disassociati che ora si sentono liberi togliendosi un fardello così pesante che non riuscivano a reggere mentre erano nella congregazione dei testimoni di Geova. Tutto ciò per far leva sui sentimenti. In questo modo, i lettori saranno costretti a compatire i disassociati, rafforzare la loro posizione contro i testimoni di Geova e bollare tutti i testimoni come persone disumane e insensibili.


Come se non bastasse, alcuni accusano i comitati giudiziari di non essere a norma di legge, cioè, quando un membro non osserva i precetti della società viene sottoposto a un processo senza alcuna garanzia o tutela dei diritti fondamentali non avendo nemmeno la possibilità di avere un avvocato difensore. Come stanno veramente le cose?

La disassociazione è fuori legge?


Innanzi tutto, sui provvedimenti disciplinari dei testimoni di Geova non si applicano le norme del processo penale in quanto non ci sono le premesse che lo richiedono. Chi avanza un’accusa del genere si dimostra poco informato anche dal punto di vista legislativo ignorando, forse intenzionalmente, che ogni associazione, oltre a tutelarsi con norme statutarie che stabiliscono l’espulsione dei dissidenti o di chi opera contro i fini associativi prevede nel suo statuto un apposito organo disciplinare. Sorprende il fatto che questa accusa venga mossa anche da alcuni parlamentari. Evidentemente influenzati da organizzazioni antisette che hanno un forte pregiudizio nei confronti dei testimoni di Geova.


Lo Statuto della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova prevede (art. 5) che l’espulsione di un membro sia adottata dagli anziani delle comunità locali. Nella prassi almeno tre anziani formano un comitato che viene incaricato dal corpo degli anziani o presbiterio di esaminare la condotta di un aderente, e ciò soltanto in presenza di una grave e provata trasgressione.


Nella società civile invece, quando una persona viene accusata di un reato grave si muove quella che viene chiamata Magistratura inquirente, che è spesso animata dalla determinazione di dimostrare la colpevolezza dell’imputato solo se ci sono degli elementi per consentire una tesi accusatoria credibile. L’atteggiamento della magistratura inquirente o il PM è particolarmente appassionato nel colpevolizzare l’imputato in modo da non tralasciare per negligenza nessun elemento probatorio possibile e immaginabile. È una specie di garanzia del fatto che si è tentato il possibile per incastrare l’imputato nel caso fosse trovato colpevole. Questa foga inquisitoria viene controbilanciata dall’esistenza dell’ufficio di difesa dell’imputato stesso che è animata e determinata allo stesso modo della magistratura inquirente ma nel senso opposto. Ovviamente, il tutto deve avvenire nel rispetto di metodi d’indagine stabiliti dal Processo Penale vigente. Il processo così organizzato produce il massimo degli elementi pro e contro l’imputato e si ritiene che sia il modo migliore perché la magistratura giudicante possa determinare una sentenza in armonia con la verità e la giustizia


Nella vita di congregazione le cose sono molto diverse perché non ci sono gli attori del processo penale. Anzi, non ci sono affatto attori. Innanzi tutto ci sono gli anziani di congregazione che non sono assolutamente paragonabili, come vorrebbero gli oppositori, alla magistratura inquirente. Gli anziani non hanno nessuna foga persecutoria nei confronti di nessuno, peccatori inclusi. L’unico scopo del comitato giudiziario è quello di aiutare spiritualmente il trasgressore a pentirsi, non di accusare e nemmeno di disassociare. Non c’è nessuna volontà di creare la trasgressione se non ci sono prove sufficienti e chiare che lo dimostrano.


Inoltre, gli anziani non vorrebbero mai arrivare al punto di formare un comitato giudiziario come se questo li gratificasse professionalmente in qualche modo. Nei comitato giudiziario gli anziani assolvono il ruolo delle indagini e contemporaneamente quello del giudizio, cosa incompatibile nel Processo Penale per via di gratifiche e interessi professionali che altererebbero la serenità e la correttezza del verdetto. Vada sè che questa realtà, cioè che gli anziani e il clima di congregazione sono “altra cosa”, può essere o non essere creduta in base alle proprie preferenze culturali o, più semplicemente, alle idee che si vogliono affermare.


Bisogna anche tener conto del fatto che il comitato giudiziario deve giudicare solo tre cose:


  • Se il peccato è stato commesso.

  • Se il peccato è di una gravità tale da comportare la disassociazione.

  • Se il trasgressore è pentito.


Sul primo punto, in mancanza di una confessione ci si basa sulle testimonianza altrui e l’accusato può portare tutti i testimoni che vuole. Una volta appurato il primo punto non è cosa molto complessa risolvere anche il secondo punto. È sul terzo punto che l’accusato potrebbe lamentarsi ritenendo di essere pentito mentre il comitato giudiziario non lo crede. Ma su questo punto non esiste argomentazione dialettica che possa influire sul giudizio che gli anziani devono dare in onesta coscienza. Si tratta di giudicare lo stato interiore dell’accusato di fronte al suo peccato. Indubbiamente è una grande responsabilità.


Ma va precisato che se l’accusato ritiene in anticipo che i componenti del comitato giudiziario ce l’hanno con lui o potrebbe esserci un conflitto di interessi per un motivo o un altro o perché parenti dei testimoni che l’accusano ecc. può comunque chiedere che venga giudicato da anziani al di sopra di ogni ragionevole sospetto, se necessario, anche di altre congregazioni. In più, dopo il giudizio, se l’accusato ritiene che il comitato abbia fatto un grave errore di giudizio su uno o più di quei tre punti, può chiedere che il suo caso venga esaminato da un’altro comitato ancora. Insomma, non si tratta alla leggera un caso di disassociazione proprio perché questi comitati servono per aiutare e non per disassociare o accusare.


Un dato inconfutabile è che la stragrande maggioranza delle espulsioni viene accettata senza fare appelli, cosa che non accade nella società dove vige il Processo Penale. Quindi si tratta di due ambienti diversi che non sono paragonabili tra loro. Gli anziani hanno come primario interesse il benessere spirituale del trasgressore e della congregazione, sono pastori e non professionisti di mestiere che operano con il presupposto della presunzione di colpevolezza come fanno i magistrati inquirenti. Inoltre, un’organizzazione qualsiasi che abbia delle regole interne condivise dai suoi associati, può operare dei provvedimenti disciplinari senza chiedere permessi né fornire giustificazioni a terzi finché l’operato dell’organizzazione rimane all’interno della legislazione vigente e i testimoni di Geova lo sono.


Peraltro alcuni ex testimoni di Geova hanno presentato ricorso contro la disassociazione ma il Tribunale Civile di Roma ha respinto tale ricorso confermando la correttezza del medesimo. D’altro canto, ad ogni confessione religiosa è riconosciuta, ex art. 8 della Costituzione, una piena autonomia nel campo disciplinare, senza che, ovviamente, ciò comporti soppressione di diritti della persona.


Essendo l’adesione all’organizzazione libera e volontaria e non essendo essa necessaria per la fruizione di libertà e diritti costituzionali, l’essere esclusi o meno non comporta quindi la privazione di nessuno di questi diritti e libertà. Quindi nessuna critica negativa sulla legalità dei comitati giudiziari può essere considerata meritoria se non solamente motivata dalla volontà di fare una pura e sterile polemica. Se si vuole dare dignità a un discorso polemico di questo genere dovremmo invocare l’avvocato di difesa anche per un figlio che non accetta la decisione dei genitori di non mandarlo al Cinema per un mese perché è stato disubbidiente. Quando alcuni oppositori dei testimoni di Geova vorrebbero portare avanti, e a tutti i costi, un’accusa infondata e assurda come questa, si finisce sempre nel ridicolo dimostrando a tutti la loro scarsa professionalità nel trattare e approfondire la questione.


A differenza della legge dello Stato, una persona disassociata non avrà mai una fedina penale sporca. Nel società attuale, avere una fedina penale sporca, vuol dire non trovare lavoro, non vincere una borsa di studio, non ottenere prestiti, può perfino influire su qualsiasi cosa richieda un normale controllo del curriculum di una persona. La Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova che esige l’espulsione secondo ciò che dice la Bibbia, indica chiaramente che, se un peccatore si pente, può essere riassociato. Inoltre, non deve scontare la sua pena secondo un tempo prestabilito come accade in un processo penale. Il tempo della riassociazione dipende esclusivamente dal pentimento della persona e può richiedere meno di un anno per quanto grave sia stato il suo errore. Il dissociato stesso può chiedere di tornare a far parte della congregazione, dopo di che, potrà essere confortato e parlare con tutti i suoi fratelli senza nessun pregiudizio. Può ridiventare un testimone di Geova attivo con tutti i privilegi che spettano a chiunque.

La disassociazione è severa?


Nonostante i sani e buoni principi biblici che i testimoni di Geova seguono nel curare e aiutare tutti i membri a divenire persone migliori, c’è chi dice che la disciplina della disassociazione sia severa. Milioni di testimoni di Geova sono convinti del contrario.


Facciamo un esempio semplice per chiarire questo aspetto. Se un bambino rischiasse di farsi male, prendendo in mano un coltello affilato, cosa dovrebbero fare i genitori? Sarete d’accordo con me che in quella situazione i genitori amorevoli, non devono essere docili o flessibili, ma con decisione e risolutezza devono togliere di mano l’oggetto pericoloso senza aspettare che il figlio ubbidisca. Questa risolutezza talvolta può apparire come severità dal punto di vista del bambino stesso.


Gli anziani delle congregazioni dei testimoni di Geova, per così dire, sono come i genitori che si mostrano risoluti e inflessibili quando alcuni componenti rischiano di farsi male spiritualmente o di far male agli altri senza accorgersi. Questa loro risolutezza in certe circostanze può apparire severa. Gli oppositori, maliziosamente aggiungono un po’ troppo pepe per far apparire questa azione in modo da venire chiaramente definita severità, ma in realtà è lodevole se descritta con parole diverse.


Nemmeno il comportamento dei singoli testimoni di Geova di non associarsi con i disassociati è disumano o troppo severo anche se è spiacevole. Riflettete: Quando un trasgressore incallito viene messo in prigione per aver violato la legge, questo viene forse considerato duro e spietato? No, perché i cittadini leali e pacifici hanno il diritto di salvaguardare la pace e la sicurezza della comunità. In effetti il trasgressore nel periodo in cui sconta la pena è dissociato dalla società che rispetta la legge. Similmente la congregazione cristiana dei testimoni di Geova è giustificata nell’espellere i trasgressori incorreggibili e di non associarsi con essi perché ha il diritto e il dovere morale di proteggere gli altri componenti da ciò che è sbagliato. Anche perché, l’espulso è incoraggiato a pentirsi e ad astenersi dalla condotta errata per potersi di nuovo unire alla congregazione.


Si tenga presente inoltre che frequentare amichevolmente un disassociato può far concludere a colui che ha sbagliato che la sua condotta non sia poi tanto grave, causandogli così altro danno ancora. Non frequentandolo, invece, è possibile si sviluppi in lui il desiderio di riavere ciò che ha perduto. La disassociazione è l’ultima spiaggia da intraprendere solo nel caso una persona non si penta nonostante tutto l’aiuto che è stato prestato.

La disassociazione e i primi cristiani


Riguardo i primi cristiani, lo storico J. Bingham scrive: “La disciplina della chiesa consisteva nel potere di privare gli uomini di tutti i benefici e i privilegi del battesimo, espellendoli dalla società e dalla comunione della chiesa, . . . e tutti li evitavano e ne stavano alla larga nella comune conversazione, in parte per sostenere la condanna e l’azione della chiesa nei loro confronti, in parte per farli vergognare e in parte per proteggersi dal pericolo del contagio”. E aggiunge: “nessuno doveva accogliere in casa persone scomunicate, né mangiare con loro alla stessa tavola; non dovevano conversare amichevolmente con loro mentre erano in vita; né celebrarne le esequie funebri una volta morte, ...Queste direttive erano state tracciate sul modello delle norme degli apostoli, che vietavano ai cristiani di dare qualsiasi appoggio ai pubblici peccatori” (J. Bingham, The Antiquities of the Christian Church, pp.880,891).


I singoli testimoni di Geova, seguendo l’esempio degli apostoli e dei primi cristiani, si comportano in questa maniera perché hanno fiducia che gli anziani hanno seguito il caso con amore, con molta cura e attenzione nel rispetto del trasgressore e di ciò che è scritto nella Bibbia. Non avere contatti spirituali con chi lascia l’organizzazione, indubbiamente è un esperienza spiacevole che nessuno vorrebbe sperimentare anche se è un’azione naturale e spontanea.


Consideriamo il caso di una famiglia, dove un figlio, una figlia o un altro componente, vorrebbe convertirsi ad un’altra religione, scegliere uno stile di vita diverso o scegliere un altro partito politico. Guarda caso, proprio quella scelta viene considerata dalla famiglia completamente sbagliata e totalmente opposta ai suoi principi e alla sua tradizione. Vi piacerebbe assistere alle loro conversazioni quotidiane? Si lascia all’immaginazione ciò che potrebbe venir fuori.


In questo caso, credo che si possa essere d’accordo che non sia giusto costringere due persone che hanno stili di vita completamente opposti, a stare insieme se non hanno niente da condividere. Sarebbe sicuramente una sofferenza per entrambi. In un certo senso, ridimensionare o evitare le situazioni di scontro è indice di civiltà e rispetto reciproco. È chiaro che ognuno è libero di fare quello che ritiene corretto, ma è anche vero che le scelte potrebbero richiedere qualche sacrificio.


Per quanto possa apparire strano, la regola biblica di non associarsi con i disassociati, non è mancanza di rispetto, anzi, è vero proprio il contrario. Senz’altro questa regola biblica, appropriatamente applicata all’interno delle congregazioni dei testimoni di Geova, tiene in considerazione questi ed altri fattori. I testimoni di Geova hanno il coraggio di applicare questa rigida e necessaria regola a costo di apparire impopolari agli occhi degli altri.


Consideriamo un caso diverso. Se vostra figlia venisse accusata ingiustamente di essere una ragazza non seria, come reagireste? Come trattereste l’accusatore? Lo invitereste a casa vostra? Credo che sia doveroso invitarlo le prime volte per chiarire la cosa. Ma se continuasse ad accusarla ingiustamente e cercasse di divulgare la notizia in giro, cosa fareste? Continuereste ad invitarlo a casa vostra magari considerandolo ancora un caro amico?


Triste a dirsi, alcuni ex-testimoni di Geova fanno la stessa cosa. Accusano i loro fratelli, con cui vissero per anni, di essere malvagi, falsi, condizionati mentalmente etc. Può un testimone di Geova considerarli ancora degli amici? Può un testimone di Geova, che ci tiene molto alla sua religione, ospitare un ex-testimone che parla male della sua organizzazione? Per rispetto di entrambi è meglio troncare i rapporti spirituali.


Espellere dalla congregazione una persona che non accetta i consigli biblici è una dimostrazione di rispetto verso la parola di Dio. Rivela amore e rispetto per coloro che si comportano bene perché allontana chi potrebbe esercitare su di loro un’influenza negativa. Per di più protegge anche la congregazione da idee sbagliate. L’espulsione può anche aiutare il trasgressore a capire la gravità del suo comportamento e fare i cambiamenti necessari per essere riassociato dalla congregazione.


Per quanto possa sembrare strano, anche la Chiesa Cattolica segue lo stesso principio con i suoi fedeli nei confronti dei testimoni di Geova. Notate il consiglio che viene dato ai cattolici quando i testimoni di Geova bussano alla loro porta:

“La difesa prima e più sicura è quella di rifiutare, cortesemente ma con fermezza, ogni discussione... Chiudere loro la porta non è mancanza di carità, non è segno di paura o di fede debole: è legittima difesa contro l’errore.” (Risposta cristiana ai Testimoni di Geova, di P. Ambrosio. Ed. Elledici III edizione 1995 pag. 3)

Non è forse vero che anche i genitori sconsigliano i propri figli dal frequentare certe compagnie che considerano sbagliate? Non e forse verso che anche alcuni psicologi sconsigliano ai loro malati di frequentare certe persone per la loro salute? È degno di nota ciò che dice uno psicologo, molto popolare negli Stati Uniti, a proposito di alcune persone:

“Il modo più semplice e spesso il più razionale di cavarsela nei rapporti con le persone per loro natura malinconiche e depresse che non ne vogliono sapere di cambiare, è di tenersene alla larga. Forse il mio vi sembrerà un consiglio da cinico egoista, ma è il più valido. Gl’individui che sono sempre in preda al malumore, analogamente a coloro che si lasciano sopraffare dalle proprie «zone erronee», ricavano un certo utile dal loro deprecabile stato d’animo, costituito in genere dall’attenzione che riescono a ottenere da chi e disposto ad ascoltarli o, peggio ancora, dal piacere di coinvolgerli nelle loro non di rado artefatte angustie.

Perciò non sentitevi in dovere di frequentare e di sopportare le persone di questo calibro. Anzi, evitate quanto più potete di avvicinarle. Circondatevi di facce serene, di gente disposta a vivere apprezzando la vita invece che di «salici piangenti» i quali si dilettano a lamentarsi di tutto e di tutti... Perciò state in guardia, Perché se vi succedesse di darle ascolto non farebbe altro che infettarvi col suo umor nero.” (Wayne W. Dyer, Prendi la vita nelle tue mani. BUR 1991 pag.139)

Siete d’accordo con i summenzionati consigli da parte della chiesa, di genitori e di alcuni psicologi? Se non siete d’accordo con loro, probabilmente perché, avete frainteso le loro intenzioni. Lo insegnano, non per mancanza di rispetto o perché odiano il prossimo, ma per aiutare i loro fedeli, i loro figli e i loro malati. Questa condotta vorrebbe far capire che gli altri sbagliano nei loro confronti e che dovrebbero cambiare la loro condotta.


Siete proprio sicuri che anche voi non avete, in qualche modo, frainteso volontariamente o involontariamente ciò che i testimoni di Geova insegnano riguardo alla disassociazione? Indubbiamente, se leggete informazioni che provengono dai loro oppositori, non avrete altra scelta che fraintendere le buone intenzioni dell’organizzazione, che fra l’altro, sono basati sugli stessi principi morali della società in cui viviamo.


A questo punto è lecito chiedersi: Perché mai l’ammonimento della chiesa cattolica, di troncare le discussioni con i testimoni di Geova, dovrebbe essere considerato valido e lo stesso principio applicato nelle congregazioni dei testimoni di Geova, di non associarsi con gli apostati o i disassociati, dovrebbe essere considerato una spietatezza?


E perché mai l’avvertimento di un genitore, di non frequentare certe compagnie, deve essere considerato valido mentre ciò che raccomandano i testimoni di Geova dovrebbe essere considerato un azione crudele?


E perché quando gli psicologi, nel curare i loro malati, sconsigliano di frequentare certe persone che non riescono a capire il loro stato d’animo e nota bene se lo fanno i testimoni di Geova, come al solito, devono essere considerate persone che odiano il prossimo? È più che evidente che ci sono due metri diversi per misurare gli stessi principi.


Tenete presente che rispettare i principi biblici di non associarsi con i disassociati non vuol dire odiarli. Ciò che si deve odiare, precisano i testimoni di Geova, è il male che le persone fanno. Questo non vuol dire che bisogna trattare male i disassociati. Sono persone come tutti gli altri. Qualunque testimone di Geova, se vede un ex-testimone di Geova disassociato in pericolo o nel bisogno, anche se è un accanito oppositore, non dovrebbe assolutamente lasciarlo senza aiuto. La sua coscienza cristiana ci obbliga ad aiutarlo. La Torre di Guardia del 15/1/1975 in un articolo intitolato “Manteniamo una veduta equilibrata verso i disassociati” dice a pagina 51 quanto segue:

“Può il cristiano [testimoni di Geova] ignorare [un disassociato che] si trova in pericolo? No di certo. Sarebbe crudele e disumano. Non possiamo immaginare che Cristo Gesù agisse così. Gli anziani della congregazione, nonché i suoi singoli componenti, perciò, dovrebbero badare di non considerandoli veri e propri nemici. È giusto odiare il male commesso dal disassociato, ma non è giusto odiare la persona né è giusto trattarla in modo disumano”.

Tutto questo illustra che i testimoni di Geova, come ogni organizzazione religiosa, hanno il diritto di espellere i disordinati impenitenti secondo la legge biblica e la legge consentita dallo Stato. Benché alcune persone siano ricorse in tribunale, nessuna corte ha mai emesso un giudizio contro i testimoni di Geova per il loro rifiuto secondo la Bibbia di avere rapporti spirituali con le persone espulse, in quanto la legge e lo statuto della congregazione cristiana dei testimoni di Geova lo prevede. La Torre di Guardia del 15/4/1988 pagg. 26-31 riporta un caso di una donna americana che portò in tribunale la congregazione per il fatto che non poteva più parlare con i suoi ex fratelli. La rivista dice:

Di recente in una causa promossa da una donna che era stata allevata da genitori testimoni di Geova. I suoi genitori erano stati disassociati. Lei no, ma si era volontariamente dissociata scrivendo una lettera alla congregazione. Di conseguenza la congregazione era stata semplicemente informata del fatto che lei non era più una testimone di Geova. La donna si trasferì, ma anni dopo tornò e notò che i Testimoni locali non volevano conversare con lei. Così portò la questione in tribunale. Quale fu il risultato? [...]

Prima che la causa venisse ef ettivamente dibattuta, una corte distrettuale federale aveva emesso con procedura sommaria un giudizio contro di lei. Il giudizio si basava sul concetto che la corte non deve interferire in questioni disciplinari ecclesiastiche. La donna allora si appellò contro questa decisione. Il parere unanime della corte federale d’appello si basava, con una motivazione più ampia, sul Primo Emendamento (della Costituzione degli Stati Uniti): “Poiché il rifiuto di avere rapporti con le persone espulse è parte integrante della fede dei testimoni di Geova, riteniamo che il principio del libero esercizio sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti... renda inammissibile il ricorso [della donna]. I convenuti hanno il diritto costituzionale di rifiutare di avere rapporti con le persone espulse. Di conseguenza si convalida” il precedente giudizio emesso dalla corte distrettuale.

La motivazione della sentenza aggiunge: “La disassociazione è praticata dai testimoni di Geova in conformità alla loro interpretazione del testo canonico, e noi non abbiamo il diritto di reinterpretare quel testo... I convenuti hanno diritto al libero esercizio delle loro credenze religiose... In genere i tribunali non entrano nel merito dei rapporti fra i membri (o gli ex membri) di una chiesa. Le chiese godono di un’ampia libertà d’azione in quanto alla disciplina da impartire ai loro membri o ex membri. Concordiamo con l’opinione espressa dall’ex giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Jackson secondo cui le attività religiose che concernono esclusivamente gli aderenti di una confessione sono e devono essere assolutamente libere, più libere che sia possibile... I membri della Chiesa che lei aveva deciso di abbandonare hanno stabilito di non voler più avere rapporti con lei. Riteniamo che siano liberi di fare questa scelta”.

La corte d’appello ha riconosciuto che, sebbene la donna fosse afflitta perché gli ex conoscenti avevano deciso di non conversare con lei, “permetterle di ottenere un risarcimento per danni morali o non quantificabili rappresenterebbe una limitazione anticostituzionale del libero esercizio della religione da parte dei testimoni di Geova... La norma costituzionale che garantisce il libero esercizio della religione richiede che la società tolleri il tipo di danno subìto dalla donna come un prezzo che vale la pena pagare per proteggere il diritto di tutti i cittadini di praticare la religione che preferiscono”. Da quando è stata emessa, questa sentenza ha assunto, in un certo senso, ancora maggiore importanza. Come mai? La donna in seguito è ricorsa alla massima corte del paese perché il caso venisse riesaminato e possibilmente la sentenza contro di lei venisse revocata. Ma nel novembre 1987 la Corte Suprema degli Stati Uniti si è rifiutata di farlo.

Indubbiamente, l’esperienza della disassociazione non è piacevole per nessuno, alcuni se la prendano male a tal punto che si sentono spinti a scrivere le loro esperienze, criticando aspramente la decisione degli anziani di congregazione accusandoli di essere poco amorevoli, severi e perfino persone che non rispecchiano affatto lo spirito cristiano tollerante.


Perché alcuni si inaspriscono e se la prendono così male? In parte questi sentimenti sono insiti nella natura umana. Non è raro attribuire a qualcun altro i propri problemi. In poche parole è come incolpare le case automobilistiche dei frequenti incidenti causati dalla guida sfrenata. Da non trascurare altri fattori come la personalità, la maturità spirituale e psicologica, l’orgoglio o il desiderio di sentirsi vincitori anziché vinti e infine ciò che si pensa dei propri diritti e doveri nella società.


Facciamo un esempio semplice per capire il punto: Come la prendereste se un vigile vi multasse per eccesso di velocità? Come considerereste la legge? Una persona ragionevole dovrebbe ammettere che se la meritava anche se non è piacevole. Mentre altre persone potrebbero prendersela trovando tutte le giustificazioni di questo mondo. Superficialmente, queste giustificazioni potrebbero apparire sensate. Ma come risponderebbe un vigile o un giudice qualunque alle giustificazioni? Semplicemente: La legge non ammette l’ignoranza.


A prima vista, questa legge appare intollerante e inadeguata, ma in realtà ha delle implicazioni molte profonde e ragionevoli. È stata istituita tenendo conto della natura umana stessa che si approfitta di qualsiasi situazione per giustificare le proprie azioni sbagliate. Che ce ne rendiamo conto o no, è proprio così.


Riflessione: Per essere onesti, non è forse vero che la natura umana cerca di approfittarsene per giustificare le proprio azioni?

Che dire della tolleranza?


La disassociazione è forse contraria allo spirito tollerante descritto da Gesù? Molte organizzazioni antisette, oppositori e apostati vorrebbero farci credere che è così. Una delle scritture citate per criticare la disassociazione dei testimoni di Geova è Matteo 18:21-22 che dice:

Allora Pietro si accostò e gli disse: “Signore, quante volte il mio fratello peccherà contro di me e io gli perdonerò? Fino a sette volte?” Gesù gli disse: “Io non ti dico: fino a sette volte, ma: Fino a settantasette volte.

Secondo loro, le parole di Gesù dimostrano che i testimoni di Geova non sanno perdonare. Ma come abbiamo visto più volte nella trattazione di questo articolo, la disassociazione è l’ultima strada da raggiungere solo e dopo aver tentato il possibile per aiutare il trasgressore.


Cosa insegnano veramente i vangeli riguardo la tolleranza e il perdono? Cosa intendeva realmente Gesù? Per capirlo è doveroso consultare anche Matteo 18:15-17 che gli oppositori non vorrebbero mai consultare:

“... se il tuo fratello commette un peccato, va e metti a nudo la sua colpa fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato il tuo fratello. Ma se non ascolta, prendi con te uno o due altri, affinché per bocca di due o tre testimoni sia stabilita ogni questione. Se non li ascolta, parla alla congregazione. Se egli non ascolta neanche la congregazione, ti sia proprio come un uomo delle nazioni e come un esattore di tasse.”

Confrontando queste due scritture insieme si comprende che essere troppo buoni non è corretto come essere troppo severi non è onesto. È chiaro che le parole di Gesù non sono da intendersi letteralmente. Ogni caso è a sé. I testimoni di Geova si rendono perfettamente conto di ciò che disse Gesù e cercano di seguire il suo esempio. Se la persona che commette l’errore si pente, in questo caso è doveroso perdonare anche più di settantasette volte, ma se la persona non vuole pentirsi, la congregazione si mostra risoluta proprio come Gesù stesso disse. È interessante ciò che dice la Torre di Guardia del 1/8 1994 p. 16-17:

“Quando gli anziani agiscono da giudici nella congregazione, si sforzano di imitare l’esempio di ragionevolezza di Gesù. Non vogliono che le pecore li temano come se il loro ruolo fosse quello di punire. Cercano piuttosto di imitare Gesù affinché le pecore si sentano al sicuro, protette da amorevoli pastori. Nei casi giudiziari, fanno ogni sforzo per essere ragionevoli, pronti a perdonare... Non è un errore tendere alla misericordia nel giudizio quando c’è una base ragionevole per farlo. (Matteo 12:7) È invece un grave errore essere aspri o senza misericordia. (Ezechiele 34:4) Per non cadere in errore, quindi, gli anziani ricercano attivamente la condotta più amorevole e misericordiosa possibile nei limiti della giustizia. — Confronta Matteo 23:23; Giacomo 2:13.”

Migliaia di esperienze dimostrano che i testimoni di Geova sono amorevoli nell’applicare e seguire le orme di Gesù. Una donna che aveva commesso un peccato grave, quando gli anziani della congregazione andarono a trovarla a casa, lei disse davanti al suo marito, anch’egli testimone di Geova:“Lo so che mi disassocerete!” Ma scoppiò in lacrime quando gli anziani le dissero che volevano sapere di quale aiuto c’era bisogno per ristabilirla spiritualmente. Quella donna si meravigliò della decisione degli anziani. Non fu disassociata a causa del suo sincero pentimento. Fu aiutata e consigliata come risolvere il suo problema.


Ciò che ci chiediamo, e che dovrebbero chiedersi le persone oneste, è questo: perché alcune organizzazioni antisette, oppositori e apostati nel criticare i testimoni di Geova non hanno menzionato il vero punto di vista dei testimoni di Geova riguardo la disassociazione? È evidente che le loro accuse sono elaborate per dimostrare una tesi preconcetta e non per trattare scientificamente e realisticamente il tema della disassociazione.

La disassociazione è necessaria


Non è facile per nessuno sopportare la disassociazione ma purtroppo è necessaria per due motivi. Per proteggere la congregazione e per aiutare la persona disassociata a ritornare nella congregazione. Per amore dell’argomento è doveroso leggere alcune testimonianze:

“...sono stato disassociato dalla congregazione. A quel tempo mi sembrava un provvedimento molto severo, la cosa peggiore che si potesse fare a una persona. Mi sbagliavo! Prima della disassociazione gli anziani della congregazione fecero di tutto per indurmi al pentimento. Allora non apprezzavo af atto l’aiuto che ricevevo. La disassociazione mi ha reso molto più umile.”

“...sono stata disassociata nel 1987 e riassociata nel 1988, dopo aver imparato la lezione. Questo provvedimento amorevole mi ha aiutata a cambiare vita e compagnie. Che benedizione avere un’organizzazione che si attiene alle norme della Bibbia!”

“Per quanto sia stato difficile”, ha detto una testimone di Geova che era stata espulsa per qualche tempo, “la disciplina era necessaria e occorreva proprio, ed è risultata salvifica”.

“Mi rendo conto che dovevo essere disassociato e che me lo meritavo pienamente. Ci voleva proprio e mi aiutò a capire come fosse grave il mio comportamento e necessario ricercare il perdono di Geova”.

“Mio marito ed io fummo disassociati trentacinque anni fa. Poi, nel 1991, avemmo la piacevole sorpresa di ricevere la visita di due anziani che ci informarono della possibilità di tornare. Sei mesi dopo provammo la gioia indescrivibile di essere riassociati. Mio marito ha 79 anni e io ne ho 63”.

Il disassociato e la famiglia


Veniamo ora ad un altro argomento messo in discussione da parte degli oppositori: il disassociato e la sua famiglia. Secondo loro, quando un componente di una famiglia viene disassociato, tutti gli altri familiari testimoni di Geova troncano ogni rapporto con lui. Alcuni vanno oltre, testimoniando che i disassociati vengono abbandonati a se stessi, buttati via come i più incalliti dei peccatori.


Come si comportano i testimoni di Geova con un parente o un famigliare disassociato? La rivista ufficiale dei testimoni di Geova, la Torre di Guardia del 15/9/1989 p. 24 da questa disposizione:

“Se da una parte potrebbero essere necessari certi contatti per sbrigare questioni familiari, ogni rapporto spirituale con il parente disassociato va troncato.”

Molte persone fraintendono queste parole e di conseguenza, considerano la condotta dei testimoni di Geova disumana. Come stanno veramente le cose? Una lettura attenta della suddetta Torre di Guardia ce lo chiarisce. La rivista non dice di troncare ogni rapporto umano ma di troncare ogni rapporto spirituale con il disassociato. È una cosa ben diversa. La Torre di Guardia del 15/4/1988 p. 28 commenta:

“Pertanto un disassociato o dissociato può continuare a vivere a casa con la moglie cristiana e i figli fedeli. Il rispetto verso i giudizi di Dio e il provvedimento preso dalla congregazione spingerà la moglie e i figli a riconoscere che con la sua condotta egli ha alterato il legame spirituale che precedentemente li univa. Ma, dato che la sua disassociazione non pone fine al vincolo coniugale o alla parentela, i normali rapporti familiari e affettivi possono continuare.”

“Se un disassociato vive insieme ai suoi familiari cristiani, continuerà ad avere rapporti normali con loro e a partecipare alle attività quotidiane della famiglia. Questo significa che potrebbe anche essere presente quando la famiglia considera informazioni spirituali.”

Anche la Torre di Guardia del 15/1/1975 pagg. 50-7 dice:

“Similmente il marito non è esonerato dall’amare sua moglie... anche se ella è disassociata. Nello stesso modo i genitori hanno sempre il comando di continuare ad allevare i figli nella disciplina e secondo la norma... di Geova anche se un figlio o una figlia battezzata ancora minorenne è disassociata. E i figli e le figlie, di qualsiasi età, hanno ancora l’obbligo di onorare il padre e la madre benché uno di essi o entrambi siano disassociati.”

Spesso, i familiari possono sentirsi depressi e in parte colpevoli. Perciò con la sua condotta il disassociato fa soffrire profondamente, non solo lui stesso, ma anche l’intera famiglia. Di certo, neppure il comitato giudiziario si rallegra quando deve disassociare qualcuno. Nelle congregazioni, quando l’oratore annuncio la disassociazione di qualcuno, nella sala c’è un silenzio quasi assoluto carico di tristezza. Mi ricordo, dopo un annuncio di disassociazione, un anziano mi disse in privato queste parole: “non sai quanto mi dispiace, ma era necessario”. Molti testimoni, per non dire tutti, hanno lo stesso sentimento.


Un altro aspetto trascurato sia dagli oppositore che da alcuni critici, sono le testimonianze di coloro che si sono disassociati e di seguito riassociati. Essi benché considerassero questa disciplina un po’ rigida tornarono felicemente. La loro riassociazione non è forzata e il motivo non è quello di ritrovare i rapporti sociali e familiari interrotti, anche se in parte può essere vero ed è comprensibile. Il motivo principale del loro ritorno è che si sono resi conto del loro errore e si sono pentiti.


Ecco alcune esperienze:


Una ragazza che era stata disassociata disse a sua sorella:

“Se tu avessi preso alla leggera la disassociazione, so di sicuro che non avrei agito così presto per essere riassociata. Il non avere più rapporti coi miei cari né stretti contatti con la congregazione fece nascere in me il forte desiderio di pentirmi. Capii quanto era stata errata la mia condotta e quanto era stato grave l’avere voltato le spalle a Geova”.

Un’altra testimonianza narra:

Nell’agosto del 1974, circa quindici anni dopo che ero stato disassociato, il mio patrigno, ora sorvegliante di circoscrizione dei Testimoni di Geova, telefonò al sorvegliante che presiedeva una congregazione e chiese che un anziano venisse a trovarmi e mi lasciasse la Torre di Guardia del 15 gennaio 1975, contenente l’articolo “La misericordia divina indica la via del ritorno a quelli che hanno sbagliato”. A questo punto avevo cominciato a condurre una vita più regolare e mi occupavo di televisione, essendo ora vicepresidente di una stazione televisiva della California. Quando un anziano della congregazione venne a parlarmi, portandomi questo numero speciale della Torre di Guardia, pensai quanto desideravo tornare, ma quanto doveva essere ingenuo questo fratello. Avevo ancora a che fare con la malavita ed ero così profondamente attaccato al mondo che pensavo di non poterne mai uscire.

Poi, nell’aprile del 1976, dopo essere stato disassociato per quasi diciassette anni, fui riaccettato come un cristiano testimone di Geova. Il più grande privilegio del mondo è quello di poter portare il nome di Geova e dichiarare ad altri i suoi meravigliosi propositi. È stata un’esperienza indimenticabile quella di purificarmi, liberarmi e avere di nuovo la benedizione di Geova.

Un’altra donna che era stata disassociata e che in seguito fu riassociata, scrive:

“Desidero ringraziarvi per gli articoli utilissimi e istruttivi sulla riprensione e la disassociazione. Sono felice che Geova ami tanto il suo popolo da far sì che la sua organizzazione sia mantenuta pura. Quello che agli estranei può sembrare un atteggiamento rigido, è un provvedimento sia necessario che veramente amorevole. Sono grata che il nostro Padre celeste sia un Dio amorevole e misericordioso”.

Grazie a questa condotta, la direzione di una ditta ha scritto una lettera a una vicina congregazione di testimoni di Geova. Benché il direttore non sia un testimone di Geova, preferiva assumere solo personale composto da testimoni di Geova, questa era la loro scelta da 15 anni. Li considerava lavoratori seri, responsabili, onesti e diligenti. Il direttore scrisse:

“So che non tollerate coloro che non si comportano bene, e che li disassociate. Questo mostra che la vostra congregazione non vuole divenire complice di tali individui”.

Per esempio a Zurigo, in Svizzera, un giorno un uomo entrò in una Sala del Regno e disse che voleva diventare testimone di Geova. Quando gli fu chiesto perché, rispose che sua sorella era una Testimone ed era stata disassociata per immoralità, e aggiunse:

“Questa è l’organizzazione di cui voglio far parte: un’organizzazione che non tollera la condotta errata”.

A ragione la New Catholic Encyclopaedia osserva che i testimoni di Geova si sono fatti la reputazione di essere, “a livello mondiale, uno dei gruppi che si comportano meglio”.


La rivista “Times” di St. Petersburg (Florida, USA) che ha pubblicato un articolo riguardante la disassociazione dei testimoni di Geova, riportò la risposta di un lettore rivolta a coloro che “pensano che le azioni dei testimoni siano un po’ eccessive”. Il lettore ammette:

“Sono stato disassociato questo anno [aprile 1981]... Svolgevo attività che sapevo condannate dalla Bibbia, fra cui violazione della legge. Ho mentito su alcune di queste cose e non ho manifestato uno spirito contrito... Uno viene disassociato perché non soddisfa le alte norme di Dio chiaramente esposte nella sua Parola. La colpa è sua. Se altre organizzazioni fossero altrettanto ‘rigide’ quanto lo sono loro in questo mondo ci sarebbero molto meno egoisti violatori della legge, e quindi assai meno sofferenza e problemi”.

Tutte queste testimonianze evidenziano il fatto che la disassociazione, benché spiacevole, può aiutare il trasgressore a tornare in sé. Mentre è disassociato, l’individuo non è maltrattato, ma è considerato come un componente che non appartiene alla congregazione cristiana. Di norma, circa il 40% degli disassociati si riassociano nelle congregazioni a motivo del loro pentimento. Non è forse vero che anche i genitori, nel disciplinare i loro figli, li privano di certi privilegi per aiutarli ad imparare la lezione? Questo vuol dire che i genitori sono insensibili o malvagi? Indubbiamente no.


La disassociazione quindi, lungi dall’essere sbagliata, è una condotta che rispecchia il pensiero di Dio ed è il risultato del sincero desiderio della congregazione cristiana dei testimoni di Geova di seguire diligentemente i princìpi morali della Bibbia anche a costo di apparire impopolari.

La disassociazione e il mondo


I testimoni di Geova non sono gli unici a seguire la regola della disassociazione o espulsione. Anche se oggi molti pensano che questa pratica è stata trascurata dalla Chiesa Cattolica, i fatti dimostrano il contrario. L’esperienza del famoso e molto discusso arcivescovo Milingo ne è un esempio. Milingo rischiava l’espulsione se non si fosse pentito cambiando la condotta. Anni prima, precisamente nel 30 giugno del 1988, ci fu un altro caso clamoroso di espulsione dalla Chiesa Cattolica. Quel giorno un altro celebre arcivescovo francese Marcel Lefebvre sfidò il Vaticano consacrando quattro vescovi nel suo seminario cattolico tradizionalista in Svizzera. Questo gesto portò alla scomunica di Lefebvre e dei quattro nuovi vescovi. Quell’anno i cosiddetti “vecchi cattolici” si erano staccati dalla chiesa madre per la questione dell’infallibilità del papa.


Secondo il diritto canonico 1463, alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere determinati atti ecclesiastici, e la cui assoluzione, di conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati. [Cfr. Codice di Diritto Canonico, 1331; 1354-1357; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 1431; 1434; 1420]. Link


Anche l’aborto, per la Chiesa Cattolica, è un peccato grave che merita la scomunica. Il codice canonico 2272 dice chiaramente: “Chi procura l’aborto, ottenendo l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae” [Codice di Diritto Canonico, 1398] “per il fatto stesso d’aver commesso il delitto” Secondo la chiesa anche la cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. [Codice di Diritto Canonico, 1398] E alle condizioni previste dal Diritto [Cf ibid., 1323-1324].


Un sito cattolico (link) sostiene che “la Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.”


Ettore Signorile, docente di Diritto Canonico allo Studio Teologico interdiocesano di Fossano dice:

“La scomunica è una pena ridimensionata nella sua applicazione e nei suoi contenuti, con essa si impedisce una partecipazione attiva alla vita della Chiesa e ai sacramenti.” (Diritto Canonico: Introduzione, E. Signorile. Ed. Piemme 1991 pag. 151)

L’Enciclopedia delle religioni a cura di Mircea Elide scrive:

“Qualunque comunità rivendica il diritto di tutelarsi dai membri dissidenti che potrebbero minacciare il bene comune. In campo religioso questo diritto è spesso unito alla convinzione che la sanzione influisca sulla posizione dell’individuo dinanzi a Dio”.

Lo storico inglese Edward Gibbon scrisse quanto segue sulla giustezza e sugli effetti della disassociazione o scomunica nei primi secoli e in epoca vicina a quella apostolica:

“Ogni società ha indubbiamente il diritto di escludere dalla propria comunione e dai benefici derivanti quei suoi membri che rigettano o violano le norme che sono state stabilite per generale consenso... Le conseguenze della scomunica erano di natura sia temporale [terrena] che spirituale. Al cristiano contro il quale era pronunciata veniva negata qualsiasi parte nelle oblazioni dei fedeli. I vincoli amichevoli di natura sia religiosa che privata erano sciolti”.

Che dire di altre istituzioni non religiose?


Per esempio, anche alcune scuole hanno adottato una politica che esige l’espulsione degli studenti dissidenti, ribelli o particolarmente disordinati che disturbano gli altri alunni. L’espulsione, ribadiscono alcuni insegnanti, serve a proteggere gli altri studenti affinché non perdano il programma didattico.


Il Parlamento Europeo può espellere dalla sua comunità un paese membro che non rispetta la legge della comunità. Lo stesso vale anche per altre organizzazioni come l’ONU e la NATO.


Lo Stato italiano espelle i cittadini extra-comunitari colpevoli di gravi atti criminali o non in regola con le leggi che riguardano l’ingresso e il soggiorno in Italia. In particolare, vengono espulsi dall’Italia i cittadini extra-comunitari che sono stati condannati per traffico di stupefacenti, hanno commesso reati contro il patrimonio artistico, hanno sfruttato la prostituzione, hanno commesso violenze sessuali. Inoltre è previsto il divieto di rientro nel territorio dello Stato Italiano a decorrere dalla data di esecuzione dell’espulsione. Da notare che la maggioranza degli italiani sono d’accordo con questa legge.


Come vediamo, ogni organizzazione, sia essa religiosa, politica o commerciale ha il diritto e il dovere di espellere alcuni membri, che secondo i loro statuti non rispettano la legge.


A questo punto qualcuno potrebbe obiettare e dire che la disassociazione è lecita entro un certo limite. Se una persona compie un atto violento e non si pente, commette un omicidio e non si pente, ruba e non si penta, merita sicuramente la disassociazione, ma nel caso di alcune persone che esprimono semplicemente la loro opinione, perché disassociarle? Alcune ex-testimoni di Geova sono pronti a testimoniare che essi non commisero nessuna azione malvagia ma semplicemente erano in disaccordo con la società su alcuni punti specifici. Perché allora sono stati disassociati?


Qualche volta il motivo della disassociazione potrebbe apparire banale per alcuni ma in realtà è un problema che deve essere affrontato seriamente. Cosa fece l’arcivescovo Milingo di così grave per rischiare la scomunica? Semplicemente, si sposò con una donna non cattolica. Il matrimonio, è forse un’azione così grave per rischiare la scomunica? Per la maggioranza no. Ma la regola del celibato lo impedisce. Quale iniziativa sleale compì l’arcivescovo Lefebvre? Era semplicemente in disaccordo su alcuni punti con la sua chiesa e consacrò quattro vescovi nel suo seminario cattolico tradizionalista in Svizzera. Questi celebri personaggi, non commisero un omicidio, non rubarono, non compirono nessun atto violento. Ma evidentemente, quelle azioni, non sono così banali per la Chiesa Cattolica. Sulle ragioni morali e teologiche di quelle scomuniche non è qui il luogo di discuterne. In ogni caso la Chiesa, in base al cosiddetto diritto canonico, aveva il diritto di scomunicare chi disubbidisce alle sue regole. Per maggiori informazioni sul caso Lefebvre potete visitare la seguente pagina: Link


Pertanto, ciò che una persona considera come un’azione giusta, può essere considerata sbagliata da un altro. Di per sé, ciò che potrebbero pensare gli altri, non cambia o annulla la legittimità dell’azione. Come abbiamo visto, uno dei motivi che merita la disassociazione nella congregazione cristiana dei testimoni di Geova è: “Creare divisione e diffondere idee sbagliate all’interno della congregazione senza pentirsi”. Non è forse vero che alcuni ex-testimoni di Geova, dopo la loro disassociazione, scrivono libri, creano siti internet, partecipano a organizzazioni antisette diffondendo idee sbagliate e parlano male dei loro ex fratelli? Queste azioni non sono forse un motivo valido per disassociare chi minaccia l’unità con la diffusione di idee errate nella congregazione?


Per di più, alcuni oppositori quando riportano notizie di disassociazione, presentano l’esperienza in modo da suggerire che questo accade più frequentemente che nel resto della società dando l’impressione che nessun testimone di Geova può mettere in dubbio gli insegnamenti dell’organizzazione, nessun testimone di Geova può confidarsi con altri, nessun testimone di Geova ha libertà di parola, nessun testimone di Geova può leggere materiale che non provenga dalla Torre di Guardia, nessun testimone di Geova può decidere per sé cosa fare o cosa credere, nessun testimone di Geova può avere una opinione diversa dall’organizzazione e chi più ne ha più ne metta.


In realtà le cose sono ben diverse. Cosa può accadere ad un testimone di Geova quando trasgredisce? Verrà disassociato? La Torre di Guardia del 15/10/1979 p. 26 c’è lo chiarisce:

“Anche quando si deve prendere in considerazione la disassociazione, una domanda cui bisogna rispondere è: Questa persona è veramente malvagia o semplicemente debole? Se si tratta di debolezza, l’individuo può reagire positivamente se con pazienza gli viene data assistenza sincera e amorevole. Fino a che punto si è dato aiuto a chi ha sbagliato? Si potrebbe impiegare più tempo e si potrebbero fare sforzi maggiori per raggiungere il cuore dell’individuo in modo da incoraggiarlo a cambiare la sua condotta?”

Un’altra Torre di Guardia, del 15/6/1983 pagg. 30-1 fa questa riflessione obiettiva:

“Se qualcuno è disassociato, allora deve aver avuto un cuore veramente cattivo e/o dev’essere stato deciso a perseguire una condotta che disonora Dio.”

È vero che molte persone vengono disassociate ogni anno, ma è anche vero che non tutti quelli che sbagliano, anche gravemente, vengono disassociati. Lo dimostra la Torre di Guardia del 1/2/1991 p. 13:

“È probabile che un numero anche più grande di Testimoni abbiano tenuto una condotta disonorevole ma non siano stati disassociati poiché hanno mostrato pentimento.”

Come possiamo constatare, se un testimone di Geova viene meno e commette un errore (anche se è grave), non viene espulso dalla congregazione. La congregazione ha disposto che venga dato tutto l’aiuto possibile ai trasgressori affinché, chi commetta un peccato grave, sia amorevolmente ristabilito e aiutato amorevolmente. Solo nel caso un testimone di Geova pecchi gravemente e nonostante tutti gli sforzi per ristabilirlo siano stati vani e rifiuti ostinatamente di correggere la sua condotta, verrà disassociato.


Pertanto, la congregazione cristiana dei testimoni di Geova non può essere giustamente accusata di crudele dogmatismo, ma tiene in gran conto e si sforza di conseguire l’unità e la libertà di cui ogni persona ha diritto di avere. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: se la disassociazione è un comando biblico perché le chiese della cristianità non la mettono in pratica nella stessa misura in cui la applicano i testimoni di Geova? Sembra che nelle chiese si respiri più aria di libertà e di tolleranza.


È vero che nelle chiese della cristianità si respira aria di libertà. Vi siete mai chiesti cosa succederebbe se le religioni della cristianità applicassero scrupolosamente la disciplina biblica della disassociazione per tutte le azioni illecite commesse dai loro aderenti? Che ne sarebbe di tutti gli impenitenti bugiardi, adulteri, truffatori, criminali, spacciatori e consumatori di droga, e appartenenti alla criminalità organizzata? Tenete presente che in questa sede non mi sto riferendo a chi commette peccati e si pente o chi si sforza per eliminare una condotta errata. Indubbiamente, queste persone meritano il perdono e il rispetto. Piuttosto, mi sto riferendo a persone che commettono peccati gravi che sono chiaramente condannati da Dio senza pentirsene, e nonostante la loro consapevolezza persistono nella condotta errata.


Negli Stati Uniti, l’Assemblea Generale della Chiesa Presbiteriana ha ammesso:

“Siamo di fronte a una crisi terribile per dimensioni e conseguenze. . . . In tutta la nazione dal 10 al 23 per cento degli ecclesiastici ha commesso azioni di natura erotica o ha avuto rapporti sessuali con parrocchiani, assistiti, dipendenti, e così via”. La chiesa stessa riassume la questione in questi termini ammettendo che “Le loro istituzioni religiose non sono riuscite a trasmettere i valori del vangelo, e in molti casi sono diventate parte del problema”.

La situazione dei preti cattolici non è così diversa, negli ultimi anni i giornali italiani ci hanno bombardato di notizie di abusi subiti da preti e il Vaticano stesso conferma e ammette l’esistenza di casi di abusi sessuali subiti da religiose da parte di sacerdoti o missionari. Link


La scomunica non è applicata seriamente, perché la maggioranza di chi dovrebbe applicarla non dà l’esempio. Chiedetevi: si può scomunicare un credente a causa di un azione che viene commessa anche da chi la deve condannare o tollerare? In secondo luogo se le chiese dovessero scomunicare tutti gli impenitenti peccatori, chi resterebbe nelle chiese? La libertà che si respira nelle chiese della cristianità è una libertà illusoria basata sulla loro giustizia e sul sentimentalismo. Mentre i testimoni di Geova hanno il coraggio di applicare una disciplina divina anziché incoraggiare la condotta errata anche a costo di apparire impopolari.


Non a caso i vangeli denunciano l’ipocrisia religiosa di una condotta formale, Matteo 15:7-9 dice:

“Ipocriti, Isaia profetizzò appropriatamente di voi, quando disse: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è molto lontano da me. Invano continuano ad adorarmi, perché insegnano come dottrine comandi di uomini”.

Anche ciò che l’apostolo Paolo scrisse ci illustra la situazione attuale delle chiese che non applicano la scomunica in maniera appropriata:

Dichiarano pubblicamente di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le loro opere, perché sono detestabili e disubbidienti e non approvati per ogni sorta di opera buona”. (Tito 1:16)

Conclusione


Da questa breve e concisa trattazione comprendiamo che le accuse secondo le quali i testimoni di Geova devastano i loro membri e trattano in maniera disumana i loro familiari disassociati non trovano alcun riscontro reale. Le testimonianze di alcuni disassociati che si trovano su Internet, in realtà sono delle pseudoconfessioni che sono destinate a trasmettere tutt’altro messaggio. Vorrebbero lasciare dietro di sé una scia di dubbi. È un mezzo per raggiungere un fine: far leva sui sentimenti dei lettori. Anziché aiutare il disassociato o le persone sincere in cerca di informazioni veritiere sui testimoni di Geova, fanno apparire la disassociazione come un’azione malvagia anziché una disciplina corretta. In questa maniera fanno soffrire inutilmente e di proposito alcuni testimoni di Geova facilmente influenzabili.


Un’attenta analisi, mostra chiaramente che gli oppositori, e in particolar modo gli apostati, si avvalgono di queste testimonianze che si verificano nell’organizzazione per combattere la loro guerra personale contro qualcosa che essi stessi considerano sbagliato e non perché lo sia veramente.