Esperienze negative raccontate dagli ex-testimoni:

Sono degne di fiducia?

Ci sono alcuni settori dei mass-media, che si dedicano a raccogliere “testimonianze di ex-membri”, dove raccontano casi di “disassociazione”, “esperienze negative” e di “sofferenze” con le quali cercano di dimostrare che la congregazione dei testimoni di Geova è un’organizzazione crudele, malvagia e disonesta nel trattare i suoi membri.

Non poche persone, quando leggono esperienze del genere, si preoccupano. Qualcuno potrebbe rimanere turbato emotivamente, altri scambiano per verità queste testimonianze. Probabilmente hanno qualche amico, parente o confratello spirituale che è diventato “testimone di Geova”. Di conseguenza, alcuni potrebbero pensare che i singoli testimoni non sono a conoscenza di certe esperienze negative perché la società “maliziosamente” nasconde qualcosa che non dovrebbero “assolutamente” conoscere, perfino scoraggiando i singoli a leggere certi libri.

Anche se di rado, capita che durante l’opera di evangelizzazione alcuni testimoni di Geova incontrino persone che raccontano esperienze negative di alcuni ex-testimoni di Geova, acquisite forse per sentito dire o dalla lettura di qualche libro suggerito dall’autorità ecclesiastica, tali persone, ingenuamente, vogliono dimostrare al loro interlocutore che l’organizzazione dei testimoni di Geova non ama veramente il prossimo e in particolar modo i suoi propri membri.

Alcuni settori de i mass media si dedicano a raccogliere

“testimonianze di ex-membri”

Tempo fa un caro amico rimase scioccato da un’esperienza negativa che lesse in un libro di un ex-testimone di Geova. Talmente toccato e preoccupato, ci trascrisse quell’esperienza e ci incoraggiò a rivedere e riflettere sulla nostra decisione che ci ha spinto a diventare testimoni di Geova. Abbiamo apprezzato moltissimo le sue parole e crediamo che la sua preoccupazione per noi e per milioni di testimoni di Geova è sincera ed è in buona fede.

A sua detta, l’esperienza è tratta dal libro “Alla ricerca della libertà cristiana” di Raymond Franz. L’esperienza è di una donna che scrive dagli Stati Uniti occidentali. Riportiamo l’esperienza così come ci è stata inviata:

“Lasciai l’organizzazione nel 1980 sebbene il mio allontanamento consistesse solo nel fatto che non andavo più alle adunanze. Nel 1981 mia madre mi scrisse una lettera dicendomi che non avrebbe più avuto nessun contatto con me. Naturalmente i miei fratelli seguirono il suo esempio. Nostra figlia fu uccisa nel Gennaio 1983. Mia madre non venne ai funerali né mi mandò le sue condoglianze. Ho così dovuto allevare i miei quattro nipoti, ed ho capito solo in quelle tristi circostanze chi erano realmente i miei veri amici. Gente che nemmeno conoscevo mi espresse comprensione e aiutò me e i miei bambini. Mi diedero del denaro, mi dedicarono del tempo e fecero tutto ciò che potevano per aiutarmi. Non puoi immaginare quanto mi vergognassi nel rendermi conto di aver trattato tali persone, vicini e parenti (non Testimoni) con tanta arrogante ostilità solo perché erano “gente del mondo”. Essi mi ricambiavano invece con tante premure. Diversamente da me non avevano mai smesso di amarmi. Non riesco ad esprimere la mia disperazione per averli esclusi dalla mia vita per cosi tanti anni.


Ero stata battezzata nel 1946 e verso il 1971 avevo cominciato a comprendere che qualcosa non andava per il verso giusto. Iniziai quindi a fare ricerche nelle Scritture e non mi riuscì di trovare alcuna base per tutto ciò che succedeva nella congregazione… In quel tempo lessi un libro di Milton Kovitz, intitolato “Libertà fondamentali di un popolo libero”. Cominciai a chiedermi com’era possibile che la società [Torre di guardia] si battesse così strenuamente per rivendicare le sue libertà e nel contempo negasse le stesse libertà agli altri, libertà garantite dalla medesima costituzione cui essa faceva continuo riferimento, come il diritto di esprimersi liberamente, il diritto alla riservatezza, ecc. Al suo interno, invece, non vi era alcuno spazio per la coscienza individuale. Con l’eccezione di un paio di persone, gli uomini della congregazione erano molto più interessati al loro prestigio personale che a pregare o a cercare di ottenere un più profondo intendimento delle Scritture. I commenti alle adunanze non erano che una “pappagallesca” ripetizione di ciò che era scritto sulla Torre di Guardia. Non vi era nessuna comprensione per i più deboli, ma solo un’insopportabile pressione affinché si “mantenesse pura l’organizzazione… “. Sono molte le cose che non ricordo più, come i nomi e le date, sicché non riesco ad esprimermi con molta autorevolezza. Ma in verità non me ne dispiace. Sono lieta di aver dimenticato.

Un’ultima cosa: non riuscivo più a pregare. Desideravo farlo ma non riuscivo più a stringere una relazione personale con Dio e con Cristo. Le vecchie ferite me lo rendevano impossibile. Dopo aver letto il tuo libro, ho provato un senso di tristezza per tutti quelli che non riescono ad uscirne fuori, e ho chiesto a Dio di aiutarli. Questa è stata la mia prima preghiera dopo tanto tempo. Grazie.”

Questa esperienza, in realtà è una pseudo-confessione che è destinata a trasmettere tutt’altro messaggio come vedremo più avanti. Il suo messaggio subliminale è chiaro, sicuro e sensazionalistico. Vorrebbe lasciare dietro di sé una scia di dubbi al lettore. È un mezzo per raggiungere un fine: far leva sui sentimenti. Così come vengono presentate queste esperienze, il lettore non avrà altra scelta che pensare che la religione dei testimoni di Geova è veramente crudele, malvagia e disonesta da evitare a tutti i costi se non addirittura da combattere.

Inoltre, il messaggio fa parte del clima di “shock” e “sospetto” che l’esperienza vuole creare e raggiungere per indebolire la fede di alcuni testimoni di Geova e di far perdere la fiducia nell’organizzazione. Per di più si avverte che chi vive queste esperienze vuole far conoscere la “propria causa” e sentirsi vincente e non perdente.

Indubbiamente, questa non è la prima e non sarà l’ultima esperienza scritta da ex-membri. Non è neanche raro trovare siti e libri che raccontano esperienze di questo genere. Alcune organizzazioni antisette e ex-membri vanno oltre, creano una sorta di “centri di ascolto” per accogliere persone che hanno avuto esperienze simili. In questo modo la loro posizione viene rafforzata da altri ex membri e da organizzazioni o persone che combattono la “stessa causa”. Questi centri hanno un solo obiettivo: persuadere e far credere che i testimoni di Geova devastano moralmente i loro membri, smembrano e rovinano le famiglie.

Sono veramente accuse molto dure. A questo punto è lecito farci questa domanda: basta lanciare l’accusa per rendere gli accusati colpevoli?

Più volte sono state presentate alcune denunce al presidente del Consiglio dei Ministri da alcuni parlamentari “antigeovisti”. I loro scritti, i loro convegni, i loro comunicati stampa, la raccolta di migliaia di firme hanno un obiettivo ben preciso: intromettersi nella “Amministrazione Pubblica” e persuadere il Governo a revocare il riconoscimento giuridico dell’organizzazione. E più recentemente hanno sollevato il “classico polverone” per bloccare l’iter dell’Intesa fra Stato e Testimoni di Geova.

Il Resto del Carlino, 26 novembre 1999 commenta ciò che accadde in quel periodo:

“D’Alema è subissato dai fax. Arrivano a centinaia da ogni parte d’Italia, dal Veneto alla Puglia alla Toscana. Ma tutti gli chiedono la stessa cosa: che non firmi quell’intesa”… Il senatore Bosi: “La prossima settimana chiederò di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle sette, che indaghi anche sui Testimoni di Geova. Se dovesse emergere la situazione che io denuncio, chiederò la sospensione della decisione di firmare l’intesa“.

Benché il via libera delle camere non si annunciava per niente pacifico, l’allora presidente del consiglio non considerò valide quelle accuse. Anzi, il Consiglio dei Ministri nel 20 maggio 2000 ha approvato con un disegno di legge, le norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione.

Evidentemente la maggioranza al governo aveva i suoi motivi per considerare non valide le accuse mosse contro la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova. L’articolo 11 della suddetta intesa (i testimoni di Geova ebbero il riconoscimento giuridico come religione denominata “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova” nel 1982), parlando delle attività di religione e di culto dice:

“Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque legittime le seguenti attività alla congregazione cristiana dei testimoni di Geova:

a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura pastorale, alla formazione dei ministri di culto, a scopi missionari e di evangelizzazione, all’educazione cristiana;

b) attività diverse da quelle di religione o di culto, quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura”.

Francamente non si vedono i motivi per cui il Governo o una forza politica abbiano voluto favorire i testimoni di Geova o per cui, nel favorirli, abbiano voluto seguire una procedura scarsamente approfondita. C’è da pensare invece il contrario e cioè che in previsione di intuibili critiche e resistenze si sia voluto analizzare a fondo la questione per rilasciare un provvedimento, il più possibile, incontestabile.

Sociologi, psicologi, politici e studiosi hanno fatto le verifiche prima di aggiudicare il riconoscimento. Alcuni di loro hanno passato giorni, settimane, mesi, altri anche anni, ad osservare i testimoni di Geova “sul campo”, qualcuno ha ascoltato ex-membri, parenti e amici di membri, oppositori e sostenitori, e chiunque altro potesse fare luce sull’organizzazione. Potevano dare ai testimoni il riconoscimento giuridico se li avessero trovati una religione pericolosa, persone cattive senza scrupoli, che odiano il prossimo e rovinano le famiglie? Se il riconoscimento giuridico del 1982 fosse stato un errore, che dire dell’intesa del 2000? Poteva la maggioranza del Consiglio dei Ministri approvare l’intesa tra lo Stato e la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e darle il diritto di assistere, istruire e educare i suoi membri se sono veramente pericolosi per la società?

A chi dovrebbe credere una persona ragionevole? Agli oppositori? A ex testimoni? O agli studiosi e alla maggioranza al governo che hanno fatto del loro meglio per studiare il caso?

Personalmente abbiamo riflettuto molto su quelle esperienze negative, e se dobbiamo essere sinceri, alcuni di noi hanno letto altre esperienze scritte da alcuni ex prima ancora che diventassero testimoni di Geova. Malgrado quelle esperienze negative decisero ugualmente di associarsi all’organizzazione. Qualcuno si chiederà perché allora nonostante la negatività apparente di quelle esperienze scelsero lo stesso questa strada? Perché molti testimoni sono ancora nell’organizzazione se esistono famiglie devastate e smembrate? Sono forse persone insensibili? Sono persone senza cuore? Malvagie? Odiano il prossimo? Qualcuno potrebbe pensare che i singoli testimoni di Geova sono stati sottoposti a una specie di lavaggio del cervello o “controllo della mente”.

Ebbene, prima di rispondere a queste domande, vorremo raccontarvi una storia, “una storia di sofferenze”. Questa storia richiede una risposta e un giudizio simile a quello che gli oppositori vorrebbero farci credere.

È la storia di un carissimo amico di nome Daniele (un cattolico praticante):

Daniele e la sua famiglia erano cattolici praticanti. Daniele aveva un sogno nel cassetto: diventare un prete. L’unico ostacolo erano i suoi studi, non riuscì nemmeno a terminare le scuole medie superiori. Un giorno fece la domanda per studiare teologia e per diventare prete, la sua domanda non fu accettata. Questo rifiuto lo fece soffrire moltissimo. Dall’altra parte, suo padre non riusciva a capire la posizione della sua chiesa che per diventare preti bisogna avere come minimo un certo livello di studio.

“Niente paura” gli disse una suora di mezz’età che Daniele conosceva, la suora gli diede qualche consiglio su come raggiungere il suo scopo. “Devi fare opere di carità e aiutare i malati, solo così avresti un giorno la possibilità di diventare prete”. Daniele iniziò ad aiutare gli anziani, assisterli e a pulire le loro case. Un giorno, mentre Daniele parlava con la suora del matrimonio e del celibato, lei affermò che è meglio non sposarsi se vuole farsi prete, inoltre gli disse che i rapporti sessuali erano sbagliati e devono essere fatti solo per la procreazione e non per il piacere sessuale. Gli citò le parole di Paolo VI Lett. Enc. Humanae. (Anche il “Catechismo della Chiesa Cattolica“, Libreria editrice Vaticana 1992 articolo 2366, è ancora di questo parere benché dal concilio Vaticano II alcune cose erano cambiate).

Pensando a quell’insegnamento, iniziò a divulgarlo in giro parlando con i suoi genitori e i suoi amici dicendo loro che avere rapporti sessuali, se non per la procreazione, è sbagliato. Potete immaginare la reazione dei suoi amici!

Indubbiamente i suoi genitori non erano contenti di ciò che Daniele diceva e credeva riguardo al matrimonio, erano preoccupati perché desideravano per lui una vita normale, cioè farsi una famiglia e avere dei figli. Sua madre gli consigliò di non parlare più con quella suora perché insegnava, a suo giudizio, cose sbagliate e antiquate.

Daniele andò di nuovo dalla suora e le raccontò la reazione dura dei suoi amici e di suo padre. A questo punto la suora gli disse le parole che si trovano nel vangelo di Matteo 10:35-38:

“Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”.

La suora gli disse anche che chi ama veramente Gesù e mette in pratica i suoi insegnamenti incontra sempre problemi del genere, e che perfino Gesù ebbe problemi con la sua famiglia.

Daniele credeva più alla suora che ai suoi genitori, così nacquero dei contrasti tra lui e i suoi, in particolar modo con il padre. Tutto questo gli causò una crisi di coscienza ed un esaurimento nervoso che rese necessario il ricovero in ospedale. Una volta uscito dall’ospedale e dopo un po’ di tempo, decise di rifare la domanda per diventare prete. Ci fu di nuovo il rifiuto. A questo punto, a causa di ciò, dell’incomprensione con i genitori e ad altri fattori emotivi, ebbe un’altra ricaduta e finì di nuovo in ospedale.

Daniele a tutt’oggi lotta con queste sofferenze, ha tentato il suicidio per ben due volte. Quando suo padre chiese aiuto al parroco, questi gli disse che l’unico aiuto in questo caso è curarlo in un ospedale psichiatrico diretto da preti e suore. Potete immaginare la reazione del padre! Oggi Daniele lavora in un ospedale come assistente radiologo e conduce una vita apparentemente normale. Quando va a messa, sua madre si preoccupa per la sua salute. La sua unica preoccupazione è il contatto del figlio con la chiesa: se partecipa attivamente a funzioni religiose gli verrà voglia di fare la domanda per entrare nel convento con la possibile conseguenza del rifiuto, perciò sua madre teme una ricaduta con le sue tragiche conseguenze.

Sua madre, benché non è una testimone di Geova, chiese ad un testimone che fa parte del nostro gruppo di aiutarlo sotto l’aspetto emotivo e spirituale, disse rammaricata che la sua chiesa, apparentemente sembra offrire ai suoi fedeli una vita normale e sociale, ma in realtà dietro quell’abito bianco e puro, si nasconde una realtà completamente opposta. Con astuzia impone indirettamente ai suoi fedeli, specialmente chi vuole vivere pienamente il cattolicesimo, una vita del tutto al di fuori del contesto sociale e sanitario, una vita notevolmente diversa da quella normale.

Disse inoltre:

“Benché la mia chiesa critica la vostra religione, voi non vivete mai una vita fuori dal normale; voi lavorate come tutte le persone, mentre i preti devono isolarsi e vivere nei conventi, voi potete sposarvi, mentre loro devono rimanere celibi, voi potete avere dei figli, loro non lo possono fare, voi potete vestirvi come volete, loro devono vestirsi con un abito particolare ecc.”.

E poi aggiunse: “Da questa esperienza, ho visto la differenza tra chi parla della carità e chi lo fa senza parlare. Continuate così e se riuscite a convertire Daniele alla vostra religione sarò più che contenta”.

Quest’esperienza è molto più triste e drammatica di quella citata all’inizio. A parte la perdita della figlia, che sicuramente non ha niente a che vedere con i testimoni di Geova, la signora anche se dice di aver perso alcuni amici non ha

avuto problemi di esaurimento nervoso, né è stata ricoverate in ospedale e tantomeno ha pensato al suicidio.

Vi ricordate il famoso film “Uccelli di Rovo“? Si dice che questo film è tratto da una storia vera, dove un prete si innamorò di una donna, ma a causa della sua vocazione spirituale decise di non sposarla. Ebbero un figlio e la donna soffrì per tutta la sua vita aspettandolo invano. Anche questa è una storia di sofferenze! Di chi è la colpa?

Di chi è la colpa se la famiglia di Daniele ha vissuto un’esperienza del genere? Sentendo il parere del padre, la colpa è della chiesa e dei preti che approfittano delle buone persone (come Daniele) per aiutare gli anziani e per pulire le loro case. Così loro vanno in giro a parlare dell’amore facendo una bella vita, mentre lasciano fare la carità agli altri contraddicendo l’insegnamento del loro Signore Gesù (cfr. Vangelo di Matteo 20:28 dove Gesù disse che non era venuto per essere servito, ma per servire). A causa di questa esperienza il padre di Daniele odia la chiesa e la bibbia perché incoraggia i figli ad odiare i genitori.

Come giudicherebbe una persona ragionevole la storia di Daniele? Un anticattolico potrebbe subito approfittarne per dimostrare la sua avversità contro la Chiesa Cattolica. Mentre le persone ragionevoli ritengono sia scorretto questo modo di giudicare una religione. Non tutti quelli che vogliono diventare preti hanno esperienze simili. La storia di Daniele è un esperienza isolata. Benché non è il primo a soffrire e non sarà l’ultimo.

Inoltre, tutti noi abbiamo assistito in diretta alle sofferenze della signore Maria Sung “ex”-moglie dell’arcivescovo Milingo. La stampa di tutto il mondo approfittò di questa esperienza per il suo tornaconto personale a scapito di chi soffre. Si è detto molto su quel caso. Secondo voi, di chi è la causa della sofferenza di Maria Sung? La colpa è forse di Milingo? Della chiesa? Di Maria stessa? Lasciamo la risposta a voi.

Che dire della storia di un giovane che ha riempito molte pagine di giornali, che non sopportava l’idea di rimanere chiuso in una caserma mentre prestava il servizio militare? Oltre alla sofferenza si è suicidato. Anche questa è una storia di sofferenze. Di chi è la colpa? Del governo italiano?

La storia di Daniele, come pure le storie di sofferenze di molti altri, potrebbe capitare a chiunque. Usarle per un tornaconto personale è sleale. Molti giornali vivono proprio grazie a queste esperienze o notizie sensazionalistiche.

Un fatto degno di nota è che i testimoni di Geova non hanno mai approfittato di queste “famiglie rovinate”, come quella di Daniele, per dimostrare che la chiesa è nell’errore. Citare esperienze di questo genere non è leale. I testimoni di Geova, nel dare un giudizio globale sulla cristianità o su qualsiasi altra religione, non si servono di “esperienze isolate” e non prendono in considerazione fonti di seconda mano, non attendibili o di dubbia provenienza, ma consultano sempre fonti affidabili e fatti concreti che chiunque può constatare da solo consultando qualsiasi libro di storia e persino testi scolastici. Guerre, razzismo, olocausto, colonialismo, inquisizione, l’ostinazione del clero di tradurre e di leggere la Bibbia nei tempi passati, sono tutti giudizi veritieri e a portata di tutti.

Come valutare le storie negative

L’esperienza citata dal libro “Alla ricerca della libertà cristiana” di Raymond Franz è una delle tante esperienze che ex-testimoni e oppositori citano per dimostrare che l’organizzazione è crudele nei confronti dei suoi membri.

Cosa pensano i sociologi al riguardo? La sociologa Eileen Barker dice: “Nel giudicare questi racconti bisogna tener conto di molti fattori. Innanzitutto essi potrebbero essere completamente falsi”. Barker racconta un episodio di un giovane che aveva dichiarato di essere stato drogato, rapito e tenuto prigioniero da un movimento religioso. Infine il giovane “è stato condannato a Dublino a tre anni con la condizionale per aver dichiarato il falso. La polizia aveva compiuto ampie ricerche sul movimento e le accuse mosse a suo carico, e riuscì a provare che tutta la fantastica storia non era altro che un’invenzione. Ma l’inchiesta partì solo dopo che il giovane aveva partecipato ad un programma della Radio, rilasciando dichiarazioni sensazionali, probabilmente suggestionato da un prete “preoccupato che i giovani cadessero vittime dei raggiri di sette di pazzi””. Inoltre aggiunge la sociologa: “Esistono altri esempi di denunce, spesso inoltrate da ex-membri, che in seguito a ricerche sono risultate senza fondamento, e chi le aveva costruite ha ammesso di essersi inventato tutto.” (Eileen Barker, I nuovi movimenti religiosi. Oscar Mondadori 1992, pag.73).

Con questo non vogliamo assolutamente sostenere che l’esperienze citate da Raymond Franz o altri sono false. Anche se a nostro avviso, sono un po’ (per non dire molto) gonfiate.

“Più comunemente, un’azione può essere descritta in modo da venire chiaramente definita “cattiva”, ma la stessa azione può essere considerata lodevole se descritta con parole diverse” dice sempre Eileen Barker (Ibid. pag.74) riguardo alle “storie di atrocità”. Per illustravi il concetto, facciamo un esempio pratico, raccontando una storia (naturalmente inventata) esponendola in due versioni diverse. È la storia di un genitore che possiamo chiamarlo Giuseppe.

Un amico del genitore racconta:

Giuseppe è un bravo padre sa come allevare ed educare i figli, conosce molto bene anche la tendenza del suo bambino, è un po’ ribelle e tende a non ubbidire ai genitori. Ad esempio, quando il bambino non vuole mangiare la pappa ma vuole, a tutti i costi, mangiare solo la cioccolata, il papà gli dà qualche sculacciata per insegnare al suo piccino l’importanza di non mangiare sempre la cioccolata ma di variare per crescere bene. Giuseppe cerca sempre di farsi rispettare e di disciplinarlo quando serve.

Indubbiamente, sentendo questa versione dei fatti non abbiamo altra scelta che lodare Giuseppe. Passiamo ora alla seconda versione raccontata magari da un nemico di Giuseppe:

Giuseppe è un padre molto autoritario e picchia sempre il suo figlio per ogni sciocchezza. Per esempio, se il suo bambino vuole mangiare un po’ di cioccolata non gli viene permessa. Povero bambino! Non appena va ad aprire il frigorifero, dov’è stata nascosta appositamente dal padre, il papà gli corre dietro e lo picchia forte forte. Pensate dove arriva la sua crudeltà! Se il bambino ha voglia di un po’ cioccolata perché negargliela? Non ha forse il diritto di mangiarla ogni tanto? Poverino, è l’unico modo per farlo star buono. Questo bravo bambino non è degno di quel padre.

Sentendo questa versione dei fatti non abbiamo altra scelta! Dobbiamo ammettere che questo padre è una persona cattiva, poco amorevole, molto autoritaria e non sa allevare i propri figli, forse qualcuno accarezzerà l’idea di chiamare anche gli assistenti sociali.

Stessa storia e due criteri completamente opposti per giudicare qualcuno. Dipende da ciò che si vuole dimostrare.

Eileen Barker (Ibid. pag.75) dice che spesso “con astuzia più sottile, quando si riportano cattive notizie o avvenimenti negativi… spesso la storia è presentata in modo da suggerire che questo accade più frequentemente… che nel resto della società.” Inoltre aggiunge: “Se, ad esempio, un membro… si suicida, è quasi certo che l’attenzione è incentrata sulla sua appartenenza al movimento, implicando che esso è responsabile del suicidio. Se invece un cattolico, un metodista, o un anglicano, si suicida, è molto improbabile che si parlerà della loro identità religiosa.” (Il corsivo è nostro)

Spesso chi racconta un’esperienza adopera termini caratteristici per descrivere un azione. Invece di dire un “padre che sà disciplinare” si avvale del termine “padre autoritario”. In questo modo il racconto cambia radicalmente. Si può dire lo stesso quando si riportano storie negative sui testimoni di Geova. Termini come “educazione” diventano “controllo della mente” e “lavaggio del cervello” benché si sta parlando della stessa cosa, ma ogni termine ha una sfumatura e un peso diverso. Anche lo stile di vita caratterizzato come “ubbidienza” e “devozione” di una persona, può essere descritto come “sfruttamento autoritario” da un’altra. Parole come disciplina e sottomissione possono assumere un significato molto diverso a seconda del contesto in cui sono usate. Per completare il quadro, anziché dire la “religione dei testimoni di Geova” basta dire il “culto distruttivo” o la “setta non cristiana”. Il gioco è fatto, l’esperienza avrà di sicuro una connotazione negativa e la tragedia è assicurata.

Queste espressioni verbali fanno molta leva sui sentimenti di qualche persona esterna che non conosce bene i fatti, fanno venire il nodo alla gola e qualche volta, le lacrime agli occhi. Il lettore non avrà altra scelta che pensare che la religione dei testimoni di Geova è crudele, malvagia e disonesta.

Con tutto ciò non si vuole sostenere che un’esperienza negativa non è tale, ovunque essa avvenga; ma è importante sottolineare che è meglio esaminare obiettivamente i fatti prima di concludere che, quando accade un fatto spiacevole, la responsabilità sia sempre dei testimoni di Geova. Tenete presente che possono esservi implicate altre ragioni, e a volte la congregazione cristiana dei testimoni di Geova viene usata come “comoda scusa” per evitare di prenderle in seria considerazione.

Le sofferenze

Ritorniamo all’esperienza raccontata nel libro di Raymond Franz. Più che sofferenza vera e propria la signora aveva uno stato d’animo triste a causa del suo dissenso e rifiuto quasi totale verso l’organizzazione. Lo psicologo Wayne Dyre (W.W. Dyre, Le vostre zone erronee. Rizzoli 1990 pag.16) dice:

“Gli stati d’animo non sono solo semplici emozioni che ti capita di provare: sono reazioni che tu scegli di avere“.

Wayne aggiunge:

“Tu credi, in parole povere, che certe cose o certe persone ti rendano infelice. Questo non è esatto. Sei tu che ti rendi infelice col coltivare certi pensieri intorno a determinate persone o cose. Una sana libertà personale comporta l’apprendimento di un diverso modo di pensare. Cambiati i pensieri, nuovi stati d’animo cominceranno a emergere, e si sarà mosso il primo passo sulla via che porta alla libertà personale“.

Sicuramente la signora si è aggrappata al mito secondo il quale non sarebbe stata lei la responsabile delle sue sofferenze e dei suoi stati d’animo. Quando le cose vanno male, la maggioranza delle persone ha la tendenza a dare la colpa a qualcuno o a qualcosa. È come attribuire al fabbricante d’auto tutti gli incidenti che un automobilista fa. È disonesto dare la colpa ai testimoni di Geova delle proprie sofferenze quando ciò non è assolutamente vero. L’organizzazione non ne è responsabile. Anzi, la sua missione comprende anche l’offrire aiuto a chi soffre, e desidera che tutti i singoli godano di una buona e piacevole compagnia fraterna. Questo lo possono testimoniare milioni di persone che hanno sofferto fuori dall’organizzazione e adesso sono felici. E crediamo che gli anziani delle congregazioni dei testimoni di Geova hanno cercato di fare il possibile per aiutare la donna menzionata all’inizio, come vedremo più avanti. Evidentemente, quell’aiuto era visto di cattivo occhio per cui non ha dato il risultato che doveva avere a causa del dissenso e del rifiuto totale della donna stessa.

Normalmente è ciò che la persona stessa pensa intorno ad un determinato fatto che la rende infelice o sofferente e non quel fatto in sé. Wayne Dyre (Ibid. pag.19) fa un interessante esempio al riguardo:

“Gli uragani non sono in sé deprimenti: la depressione e unicamente umana. Se sei depresso per un uragano, è perché ti stai dicendo cose che ti deprimono. Ciò non significa che tu debba fingere, costringendoti a godere di un uragano; ma chiediti: Perché dovrei scegliere la depressione? Mi aiuta forse ad affrontare meglio l’uragano? Sei cresciuto in una cultura che insegna che non sei tu il responsabile dei tuoi stati d’animo, benché il sillogismo dica che, invero, lo sei sempre stato. Hai appreso una quantità di frasi per difenderti dal fatto che, in realtà, essi sono in tuo controllo.” (Il grassetto è nostro)

Inoltre, esperienze del genere, lungi dall’essere false, sono storie vere, più precisamente, sono mezze verità che contengono uno spirito polemico, aggressivo e cinicamente denigratorio. E poiché le mezze verità sono insieme mezze bugie, le opere di questo genere non sono storia seria. Certamente, commenti critici possono rendere perspicaci o più sensibili, ma spesso rende anche ciechi. Queste esperienze negative non sono storiografia e nemmeno possono essere utili come opere di consultazione, bensì, letteralmente secondo il Grande dizionario tedesco di Duden, “una raccolta di storie scandalose e pettegole di un’epoca o di un determinato ambiente”.

Cosa è successo in realtà alla signora? La sua esperienza dice:

“Ero stata battezzata nel 1946 e verso il 1971 avevo cominciato a comprendere che qualcosa non andava per il verso giusto. Iniziai quindi a fare ricerche nelle Scritture e non mi riuscì di trovare alcuna base per tutto ciò che succedeva nella congregazione…“

Non vi sembra strano che solo dopo venticinque anni la signora si è accorta che qualcosa non andava? Non poteva accorgersene prima? Al limite, non poteva capirlo almeno dopo solo qualche anno? Venticinque anni sono veramente tanti. O che la signora ha sempre vissuto ai margini dell’organizzazione o che aveva delle aspettative non realistiche riguardo la vita cristiana nella congregazione, oppure ha vissuto la sua fede in maniera passiva senza prenderla in seria considerazione. C’è da notare che gli insegnamenti e il comportamento dei testimoni di Geova sono sempre gli stessi, quindi è veramente strano il modo di procedere di questa donna.

Qualcuno però, potrebbe dire che la signora non è riuscita a capirlo prima a causa del cosiddetto “Lavaggio del cervello“, oppure a causa della vita sociale separata dalla società nel suo insieme o, peggio ancora, a causa dei troppi impegni settimanali come assistere alle adunanze, allo studio e all’opera di evangelizzazione. È fin troppo facile rigirare la faccenda in questi termini.

Il vero problema invece era questo:

“In quel tempo lessi un libro di Milton Kovitz, intitolato Libertà fondamentali di un popolo libero. Cominciai a chiedermi com’era possibile che la società [Torre di guardia] si battesse così strenuamente per rivendicare le sue libertà e nel contempo negasse le stesse libertà agli altri, libertà garantite dalla medesima costituzione cui essa faceva continuo riferimento, come il diritto di esprimersi liberamente, il diritto alla riservatezza, ecc. Al suo interno, invece, non vi era alcuno spazio per la coscienza individuale. Con l’eccezione di un paio di persone, gli uomini della congregazione erano molto più interessati al loro prestigio personale che a pregare o a cercare di ottenere un più profondo intendimento delle Scritture. I commenti alle adunanze non erano che una “pappagallesca” ripetizione di ciò che era scritto sulla Torre di Guardia. Non vi era nessuna comprensione per i più deboli, ma solo un’insopportabile pressione affinché si “mantenesse pura l’ organizzazione“.

Ci siamo! La signora cominciò a vedere i suoi fratelli con occhi diversi da quando lesse il libro di un ex-testimone di Geova e probabilmente altri libri simili. Forse è rimasta colpita dai persuasivi argomenti che sembravano razionali e forse intimidita dalla apparente sapienza che ostentavano a tal punto da crearle una crisi di coscienza, non sapendo più come distinguere le informazioni vere da quelle false. Con questi libri, fingendosi scandalizzati dalla “presunta condotta imperdonabile” dell’organizzazione nei confronti dei loro membri, alcuni apostati (ex-testimoni di Geova), oppositori e organizzazioni antisette, sottintendono che anche “tutti i lettori” dovrebbero essere indignati e dovrebbero disapprovare la loro condotta, e di conseguenza i lettori dovrebbero credere al concetto di “vera libertà” solo dal loro punto di vista. Questo è proprio ciò che è accaduto alla signora dopo venticinque anni nell’organizzazione. Analizziamo insieme le sue accuse.

Risposte pappagallesche

Quest’accusa in realtà è l’artificio messo in atto per trasformare un normale metodo di studio, raccontandolo in modo da farlo divenire chiaramente “negativo”. Non è affatto chiaro cosa ci sia di così sbagliato nel rispondere correttamente alle domande di studio delle riviste Torre di Guardia. Uno studente di un testo di storia o di scienza non fa la stessa cosa? Deve forse inventarsi qualcosa che non è scritto nei libri? Ricordiamo che le adunanze dei Testimoni di Geova non sono organizzate sottoforma di dibattito. La partecipazione con domande e risposte serve ad imprimere meglio nella mente ciò che si è imparato e serve, oltre ad edificare, a chiarire l’argomento insegnato dalle Scritture agli altri presenti.

Se proprio vogliamo metterla sul piano della “ripetizione pappagallesca”, come giudichereste allora le funzioni religiose e le preghiere durante le messe cattoliche? Se la memoria non ci tradisce, nelle chiese non si fa altro che ripetere, non una sola volta, ma ben 3 volte le preghiere “Padre Nostro” e “Ave Maria”. Non è forse una “pappagallesca” ripetizione di ciò che dice la chiesa?

Perché se lo fa la chiesa o altre confessioni non deve essere considerato “pappagallesco” e se lo fanno i testimoni di Geova è pappagallesco? È giusto questo modo di giudicare i metodi altrui? A parte che i testimoni di Geova non ripetono mai le stesse preghiere, mentre gli altri sì. Tutto ciò che fanno i testimoni è commentare quello che è scritto sulla rivista Torre di Guardia che stimano come fonte d’insegnamento basata sulle Scritture. Tra le altre cose, ogni settimana c’è uno studio pratico e diverso.

Con l’espressione “risposta pappagallesca”, probabilmente qualcuno vorrebbe insinuare che i testimoni di Geova non hanno il senso critico nel commentare. Forse qualcuno vorrebbero sentire qualche risposta contraddittoria al materiale esposto nella rivista. Se le cose stanno così, ebbene, i testimoni di Geova non contraddiranno mai quello che dice la Torre di Guardia. Non perché non lo possono fare, o perché sono obbligati a commentare solo ciò che è scritto, semplicemente perché sono completamente d’accordo con quell’insegnamento.

Avete mai sentito, durante una messa o al seminario, o in qualsiasi scuola religiosa, qualcuno alzarsi in piedi e contraddire l’insegnante o il prete? Avete mai sentito un cattolico fervente, durante una funzione religiosa, dire che Maria non è rimasta sempre vergine? La risposta è sempre “No”. Perché mai vorreste sentire nelle sale del Regno commenti che contraddicono ciò che i testimoni di Geova credono? È un controsenso. Non vi pare?

Libertà di esprimersi

Sia la signora che il libro di Milton Kovitz, (Libertà fondamentali di un popolo libero) ammisero chiaramente che i testimoni di Geova sono a favore della libertà di religione. In effetti, i testimoni di Geova hanno lottato e tuttora lottano per rivendicare la libertà di religione. È interessante notare cosa scrisse il giornale USA Today a questo riguardo:

“Prima di chiudere la porta in faccia a un testimone di Geova fermatevi a pensare alla vergognosa persecuzione di cui sono stati oggetto non molto tempo fa e al notevole contributo che hanno dato alle libertà garantite dal Primo Emendamento di cui tutti godiamo”, inoltre aggiunge, “I testimoni di Geova

dovrebbero ricevere una sovvenzione visto l’aiuto che danno per la soluzione dei problemi legali relativi ai diritti civili… Tutte le religioni devono ringraziare i testimoni di Geova per l’accresciuta libertà [religiosa]“.

Senza ombra di dubbio, il tema “libertà” è molto caro a tutte le persone, inclusi i testimoni di Geova. La parola “libertà” ha una forte connotazione laudativa. Pertanto è stata usata per coprire qualsiasi comportamento, personale, sociale, filosofico e politico. Spesso, possiamo essere giudicati “persone libere” se seguiamo una certa condotta, e nello stesso tempo, essere giudicati “persone non libere” da altre persone. È evidente che la “libertà” spesso è relativa.

Cos’è veramente questo “diritto di esprimersi liberamente” che la signora non aveva? Forse voleva avere il diritto di dire la propria opinione su certe interpretazioni profetiche della Bibbia e su alcune regole spiegate dal corpo direttivo? O voleva rivelare a qualcuno nella congregazione cose su cui lei non era assolutamente d’accordo e non poteva farlo? Ma siamo proprio sicuri che la signora non poteva esprimersi liberamente nella congregazione? La risposta dipende esclusivamente da come voleva esprimersi.

L’espressione “esprimersi liberamente” può avere una definizione precisa e univoca, ma nello stesso tempo può essere equivoca. In primo luogo, con questo termine vengono indicati casi e significati molto diversi e, talora, dai contorni indefiniti. Secondo, altrettanto spesso, si fa confusione tra termini che indicano differenti tipi di espressione, negativi o positivi che siano, verso un sistema qualunque. Ogni organizzazione, sia essa politica, religiosa o commerciale, dà il diritto di “esprimersi liberamente” entro un certo limite che entra nei loro diritti senza perciò essere accusati di “opprimere” l’opinione altrui. “Esprimersi liberamente” spesso, non implica necessariamente una violazione intenzionale e dimostrativa di una regola poiché si può tradurre anche in “punto di vista personale” o “dubbio”. Ovviamente, se invece si concreta in una opposizione vera e propria il discorso è ben diverso.

Facciamo un esempio: Se un prete, esaminando la dottrina della Trinità, trova dei punti che non sono in armonia con ciò che insegna la sua chiesa, può avere il diritto di esprimersi liberamente, magari insegnando ad altri “nella parrocchia”, che la dottrina della Trinità è falsa? Indubbiamente, la sua Chiesa non gli permetterà mai di esprimersi in questo modo durante una messa. Questo forse dimostra che la chiesa limiti la libertà di parola? Certamente no. Rispettare certe regole, di per sé non limita la libertà. Sicuramente il prete ha il diritto di chiedere maggiori chiarimenti sui suoi dubbi. Ci sono sacerdoti e teologi che hanno espresso il loro punto di vista sulla dottrina della Trinità e la chiesa, in questo caso, ha il legittimo diritto di esprimere la sua posizione nei confronti di chi ha espresso liberamente il suo punto di vista. E se la chiesa crede che il prete abbia sbagliato gli darà due possibilità:

1) lasciare la chiesa se il prete insiste sul suo punto di vista e se non si pente, 2) accettare la posizione del Magistero della Chiesa e continuare ad insegnarla ad altri benché non sia d’accordo. Se la signora avesse parlato dei suoi punti di vista o dubbi con qualcuno nella congregazione, come avrebbero reagito? L’avrebbero giudicata male? L’avrebbero disassociata? La rivista ufficiale dei testimoni di Geova, la Torre di Guardia del 92 15/11 a pagina 27 dice chiaramente:

“L’anziano parlerà in maniera incoraggiante ed edificante, non in tono intimidatorio. Durante la conversazione, cercherà di creare un’atmosfera in cui il cristiano che ha bisogno di aiuto si senta il più possibile a suo agio e libero di esprimersi“.

Indubbiamente la società e gli atri testimoni di Geova hanno agito in questo modo con lei e con chiunque si esprime liberamente. Dobbiamo tener presente che c’è modo e modo nell’esprimersi. Se, nell’esprimersi, la persona vuole che le si conceda di trasmettere pubblicamente i suoi dubbi al resto della congregazione e/o che il Corpo Direttivo debba fare delle modifiche su determinate questioni, è sicuramente valido un altro consiglio della rivista Torre di Guardia del 1986 1/4 pagina 31:

“se oggi un cristiano (che asserisce di credere in Dio, nella Bibbia e in Gesù) promuove false dottrine senza pentirsene, può dover essere espulso dalla congregazione… Naturalmente, se una persona ha semplicemente dei dubbi o non conosce un particolare argomento, ministri qualificati lo assisteranno amorevolmente“. (Il grassetto è nostro)

Pertanto, la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova non può essere giustamente accusata di dogmatismo, ma tiene in gran conto e si sforza di conseguire l’unità al suo interno e la relativa libertà di cui ogni persona ha diritto di avere.

Si tratta di una procedura del tutto naturale e spontanea. A questo riguardo alcuni testimoni di Geova del nostro gruppo si sono espressi liberamente nella congregazione e anche con gli anziani, sinceramente parlando, nessuno li ha giudicati male e nessuno li ha disassociati per aver espresso un proprio punto di vista personale su un argomento che non gli è chiaro. Perché allora, nel caso della signora le cose non sono andate così? È evidente che la signora era completamente in disaccordo con molte regole (per non dire tutte) e sicuramente aveva un atteggiamento negativo verso la società o su alcuni aspetti più specifici. Probabilmente è diventata apatica, indifferente e critica verso la congregazione e verso i suoi fratelli. Questo atteggiamento, l’ha spinta fino a tradursi in un rifiuto totale dell’organizzazione. Lo si capisce chiaramente dal suo racconto. La Torre di Guardia del 1985 15/7 pagina 30 dice:

“Naturalmente se un fratello avesse iniziato a forviarsi, i cristiani maturi avrebbero cercato di aiutarlo. Se avesse avuto dubbi, avrebbero cercato di ‘aiutarlo’. Anche se fosse divenuto inattivo, non andando più alle adunanze…, coloro che erano forti spiritualmente si sarebbero sforzati di ristabilirlo. Forse aveva detto loro che non voleva più avere il fastidio di stare nella congregazione, rivelando così di avere una fede debole e un livello di spiritualità basso. Loro non lo avrebbero assillato, ma di tanto in tanto avrebbero potuto fargli una visita amichevole“.

Il punto di vista della società è fin troppo chiaro. La disassociazione è l’ultima strada da seguire solo quando non c’è più niente da fare e dopo aver tentato amorevolmente tutto il possibile. Con ogni probabilità, gli anziani della congregazione hanno seguito questi principi e hanno fatto tutto il possibile per aiutare la signora a chiarire i suoi dubbi. Evidentemente, le cose non sono andate a buon fine per il suo completo dissenso.

Più che “esprimersi liberamente”, la signora voleva esprimere il suo completo dissenso nei confronti della società dei testimoni di Geova. Quindi è lampante il fatto che il “messaggio subliminale” che l’esperienza vuole trasmettere deliberatamente e sistematicamente è indirizzato ad un determinato uditorio e mirante a creare una immagine negativa dell’organizzazione. Sicuramente non è indirizzato ai testimoni di Geova, i quali sanno bene come stanno veramente le cose. In particolar modo è rivolta a coloro che, per vari motivi, trovano un piacere immenso nel trovare un “punto negativo qualunque” per combattere la loro causa contro i testimoni di Geova.

I dubbi

Che dire dei dubbi della signora? Che effetto hanno certi dubbi sulle persone? Facciamo un esempio pratico per capire la situazione in cui viveva la signora. Prendiamo il caso di un marito geloso che dubita di sua moglie: Provate a pensare per un attimo come può vivere un marito in una situazione del genere. Se per esempio, la moglie mostra delle attenzioni a una persona dell’altro sesso come si comporterà il marito? Potete immaginare la sua reazione! E se la moglie dedica molto tempo a qualche parente bisognoso di aiuto, sicuramente il marito non riuscirà a mangiare tranquillo la sera. Se dovessero uscire insieme per mangiare in un bel ristorante, addirittura potrebbe scrutare i suoi occhi per vedere da che parte guarda. Leggerà nei suoi sguardi cose che nemmeno gli passavano per la mente. Qualunque cosa la moglie faccia o dovunque vada, i pensieri del marito geloso cadranno sempre là. La sorveglierà costantemente. E se accarezzasse l’idea che sua moglie lo abbia veramente tradito, di sicuro non dormirà più.

Se invece di parlarne, preferisce vivere nel dubbio senza trovare risposte sicure, può sfogare la sua frustrazione in modi che complicano il problema. Potrebbe soffrire molto e far soffrire gli altri. Non riuscirà a lavorare tranquillo. Non riuscirà ad avere un rapporto sereno e bello con sua moglie e nemmeno con le persone che lei conosce. Prima o poi, arriverà il fatidico momento della goccia che fa traboccare il vaso: “la rovina del matrimonio”.

Di chi è la colpa se quell’uomo soffre? Della moglie? Qualunque persona ragionevole direbbe di no. Le sofferenze sono causate da lui stesso. Nella maggior parte dei casi, si può dire lo stesso delle sofferenze e dei dubbi che qualcuno può avere nella congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Perché dare la colpa all’organizzazione se in realtà il vero problema è in chi ha i dubbi? Dare la colpa dei nostri dubbi a qualcun’altro quando la causa è esclusivamente nostra, è una scusa bella e buona per non prenderci la responsabilità di affrontare il problema seriamente e coscienziosamente.

Nel caso dell’esempio dell’uomo geloso, quel che più conta non è tanto di chi è la colpa, quanto in che modo marito e moglie possono collaborare per risolvere e sradicare i dubbi.

Crediamo che, se la signora dell’esperienza negativa raccontata all’inizio avesse rispettosamente confidato i suoi dubbi, le sue preoccupazioni e le sue ansie con qualcuno nella congregazione, come dice la summenzionata Torre di Guardia del 1985 15/7, siamo più che sicuri che i suoi dubbi sarebbero stati senz’altro chiariti, e la sua esperienza l’avrebbe raccontata diversamente, magari sulla rivista Torre di Guardia per incoraggiare altri.

Sicuramente, non tutti quelli che hanno avuto dubbi nella congregazione hanno esperienze negative. La Torre di Guardia del 1981 15/1 p. 15 racconta la seguente esperienza:

“Un anziano (un uomo nominata dalla congregazione è considerato spiritualmente maturo per assistere ed insegnare altri) della Francia occidentale cominciò a dubitare di appartenere alla vera congregazione di Dio… Perciò chiese di essere sollevato dalle sue responsabilità cristiane di anziano. Tuttavia la sua famiglia e gli altri anziani non lo trattarono come un apostata. Lo aiutarono amorevolmente con la preghiera e con conversazioni incoraggianti. Poco per volta questo fratello fu aiutato…, riprese forza spirituale e ritrovò la gioia nel servizio di Geova. Ora è di nuovo un anziano nella congregazione cristiana“.

Inoltre, lo stesso articolo, parlando dei cristiani testimoni di Geova che hanno avuto dubbi, aggiunge:

“pur essendo assaliti dai dubbi, riuscirono a vincerli e ritrovarono la felicità nel servizio di Dio. Se avessero ceduto al dubbio, oggi sarebbero infelici e senza speranza. La Bibbia dice: “Chi dubita è come un’onda del mare mossa dal vento e spinta qua e là”. (Giac. 1:6) Sì, i dubbi ci rendono vulnerabili. Giacomo aggiunge che chi dubita “è un uomo indeciso, instabile in tutte le sue vie”. – Giac. 1:8.

A differenza di quello che riferiscono gli oppositori, avere dubbi è normale ed è umano. La congregazione dei testimoni di Geova non vede assolutamente di cattivo occhio chi ha dubbi come nel caso dell’esperienza citata. Anzi, è proprio vero il contrario, in quanto gli anziani delle congregazioni, hanno veramente il piacere di aiutare chi è sincero e interessato a sradicare i suoi dubbi.

Da notare che parte dei dubbi che la signora aveva, sono dovuti alla letteratura apostata, (cioè libri scritti da ex-testimoni di Geova). Cosa può asserire un oppositore con la sua propaganda se non quello di mirare a indebolire la fede di qualcuno, a raffreddare l’interesse per la sua religione e a seminare dubbi nella sua mente? Questo tipo di ricerca (la presunta verità nascosta ai testimoni di Geova) è da considerarsi a “senso unico” e di “seconda mano”, di conseguenza non può fornire informazioni del tutto veritiere.

Di “seconda mano” si intende una fonte non diretta. È il caso di una tesi, supponiamo, sull’Islam, in cui l’oggetto è costituito da “libri della religione islamica”, mentre gli strumenti sono altri libri scritti sull’Islam. In tal caso i detti di Maometto che si trovano nel Corano, gli scritti dei suoi seguaci e i vari libri scritti da studiosi musulmani, costituiscono le fonti primarie. Mentre tutti gli altri libri scritti sull’islam da studiosi non musulmani contrari all’Islam, per quanto seria possa essere la loro ricerca, costituisce una fonte di seconda mano. Umberto Eco (U. Eco, Come si fa una tesi di laurea. Bompiani 1985 V Ed., pag.63) dice a questo riguardo:

“I resoconti fatti da altri autori, sia pure integrati da ampissime citazioni, non sono una fonte: sono al massimo fonti di seconda mano“.

Possiamo concludere che la presunta ricerca della verità che la signora intraprese è di “seconda mano”, poiché si trattava di un oppositore dei testimoni di Geova e non scritti di prima mano. Che rischio può esserci consultare una fonte di “seconda mano”? Umberto Eco ce lo chiarisce:

“Nessuno mi dice che il redattore non abbia fatto dei tagli o commesso errori“.

Tutto questo ci suggerisce che nel caso della signora, la sua ricerca doveva basarsi prima sulla fonte diretta degli insegnamenti di cui lei dubitava, cosa che non è stata fatta tramite libro di Raymond Franz.

Analizzando bene l’esperienza della signora, notiamo inoltre una contraddizione con ciò che dicono di solito gli oppositori. Sono passati molti anni da quando iniziò a leggere il libro di Milton Kovitz nel 1970 fino al 1980 quando ha deciso di lasciare l’organizzazione. In tutto quel tempo, ci sembra di capire, che non andava regolarmente alle adunanze. A questo punto ci chiediamo: se dagli anni ’70 aveva avuto dei dubbi e forse ne ha parlato con qualcuno e forse no, come mai nessuno l’ha disassociata prima? Questo dimostra che le accuse secondo le quali i testimoni di Geova non possono avere dei dubbi, o il fatto di non frequentare le adunanze o esprimersi liberamente, rischiano immediatamente la disassociazione sono completamente infondate.

Il comportamento dei Testimoni di Geova

Come dovevano comportarsi i testimoni di Geova con la signora? Crediamo, ed è proprio così, che durante i dieci anni trascorsi dal 1970 al 1980 tutti i testimoni di Geova si siano comportati normalmente. Forse l’hanno invita a casa loro e hanno mangiato con lei, forse l’hanno invitata a qualche picnic, forse hanno scambiato qualche bella parola o qualche piacevole esperienza con lei. Può anche essere che lei stessa ha abbandonato la loro compagnia o non trovava più niente in comune con loro a causa dei suoi dubbi e le sue idee contrastanti. Può anche essere che qualcuno, qualche amica o qualche anziano, andava a trovarla a casa sua. Se gli anziani della sua congregazione hanno preso quel drastico provvedimento, cioè la disassociazione, dopo 10 anni (e 10 anni sono veramente tanti), vuol dire che avevano dei validi motivi, anche se lei non è d’accordo o lo nega.

Il disassociato e la famiglia

Che dire della famiglia del disassociato? L’esperienza narra che dopo la morte della propria figlia, sua madre non andò al funerale della nipote e non mandò nemmeno le sue condoglianze. Si spera che la notizia della morte non sia stata inserita come un pretesto per far apparire l’esperienza più drammatica e far leva sui sentimenti dei lettori. In questo modo, i lettori saranno costretti a compatire la signora, rafforzare la loro posizione contro i testimoni di Geova, condannare e bollare quella mamma e tutti i testimoni di Geova come persone disumane e insensibili. È evidente che la morte della figlia non ha niente a che vedere con i testimoni di Geova.

Purtroppo, così com’è presentata l’esperienza sembra proprio che quella mamma sia una persona crudele. È vero che sua madre le disse che non voleva più parlare con lei, ma quello che ci chiediamo è questo: Questa è l’unica mamma al mondo che dice una cosa simile? Quante mamme, a causa di un contrasto o di una decisione presa si esprimono in questo modo chiedendo al proprio figlio/figlia di uscire di casa e di non tornare più? Questo vuol dire che quelle mamme sono veramente cattive, crudeli o odiano i propri figli? Niente affatto. Indubbiamente questo comportamento non è corretto ma fa parte della natura umana. Probabilmente era solo un momento di rabbia per la decisione della figlia. Chissà come andarono veramente le cose! L’esperienza non ha preso in considerazione questo e altri particolari importanti per far luce su ciò che realmente accadde.

Queste situazioni capitano anche nelle migliori famiglie. Per esempio, molti genitori potrebbero non essere d’accordo con i figli della scelta della scuola, del lavoro, del coniuge, della nuova religione o di uno stile di vita diverso dalla tradizione famigliare. Questi fattori potrebbero causare divisione se non addirittura, una spaccatura e un distacco dalla famiglia. Qualche volta i rapporti affettivi si troncano e possono causare a tutti i componenti ferite molto profonde.

Normalmente, una scelta può apparire banale per alcuni, ma per altri può essere di vitale importanza. Pensate ad un genitore che si è prodigato per anni e con tanta pazienza ad allevare i propri figli nella via cristiana e secondo i principi che egli ritiene indispensabili e corretti. Come pensate che reagisca qualsiasi genitore quando uno dei sui figli sceglie uno stile di vita completamente opposto e sbagliato se non addirittura pericoloso? Che stato d’animo avrà in quel momento? Indubbiamente è come se tutto il mondo gli crollasse addosso.

Ma voi credete veramente che quella mamma odia la propria figlia che l’ha portata nel suo grembo per nove mesi e ha vissuto con lei per una vita? Sinceramente, non possiamo credere a una cosa simile. Un altro motivo che ci spinge a non crederci affatto, è che quella mamma è una testimone di Geova. I testimoni di Geova sono persone cha amano profondamente la loro famiglia e la tengono in alta considerazione al punto di sacrificare la loro vita per loro. Sono famiglie unite, pacifiche, passano molto tempo con i figli, si divertono con loro, compiono l’opera di evangelizzazione con loro. Insinuare che i testimoni di Geova odiano i propri figli quando vengono disassociati è una bugia bella e buona che non trova nessun riscontro reale.

Ammesso che quella mamma odiasse veramente sua figlia, siete sicuri che tutti i testimoni di Geova agirebbero in quel modo? Non conoscendo bene tutti i particolari come si può giudicare quella mamma senza sentire la sua versione dei fatti? Chi ci dice, che quell’esperienza, così com’è presentata non omette dei particolari, che guarda caso, proprio quei particolari che ci aiutano a capire meglio la situazione?

Se dovesse capitare a qualsiasi testimone di Geova che ha un figlio disassociato ciò che è accaduto a quella famiglia, sicuramente sarebbero andati al funerale e di sicuro, i genitori del disassociato l’avrebbero consolato. Sia la loro coscienza cristiana che gli insegnamenti della società Torre di Guardia gli obbligano moralmente ad aiutare chi è nel bisogno, chiunque esso sia, anche un disassociato. Crediamo che tutti i testimoni di Geova agirebbero nella stessa maniera se avessero figli disassociati proprio come consiglia la Torre di Guardia del 75 15/1 dice:

“Può il cristiano [testimone di Geova] ignorare [un disassociato che] si trova in pericolo [o nel bisogno]? No di certo. Sarebbe crudele e disumano. Non possiamo immaginare che Cristo Gesù agisse così. Gli anziani della congregazione, nonché i suoi singoli componenti, perciò, dovrebbero badare di non considerandoli veri e propri nemici. È giusto odiare il male commesso dal disassociato, ma non è giusto odiare la persona né è giusto trattarla in modo disumano“.

Analizzando bene l’esperienza ci si può arrivare a queste due conclusioni:

  1. o che l’esperienza omette volontariamente dei particolari,

  2. o che la sua mamma non ha messo in pratica i consigli della sua religione su come trattare i parenti disassociati.

Ammesso che è vera la seconda ipotesi, perché incolpare tutti i testimoni di Geova a causa del comportamento di una sola persona? È corretto questo modo di giudicare? Indubbiamente no. Chi ci dice però, che gli anziani della congregazione, se sono a conoscenza del comportamento della mamma, non abbiamo aiutato anche lei a comportarsi in modo corretto secondo l’insegnamento biblico impartito dai testimoni di Geova? Tutti questi interrogativi rafforzano l’idea che nell’esperienza mancano elementi essenziali per trarre la conclusione giusta.

Per provare che i testimoni di Geova sono così crudeli con i familiari disassociati, questi comportamenti devono essere dimostrabili. Solo allora l’accusa sarà credibile nella misura in cui si documenterà in modo pubblico, ripetibile e controllabile quelle esperienze.

Se voi foste un giudice come avreste valutato il caso? Per una valutazione realistica e giusta, un giudice deve ascoltare non solo chi accusa “la figlia” ma anche gli accusati, cioè, la “mamma” e la “congregazione”. Solo quando si hanno tutte le informazioni necessari si può dare un giudizio globale e concreto. Questo criterio imparziale e corretto, non è stato seguito da libro di Raymond Franz ed altri. Il libro ha chiamato in causa, solo l’accusatrice. Può essere considerato affidabile?

Purtroppo, non tutte le persone riescono ad analizzare bene queste storie negative che si trovano su internet. Valutazioni realistiche potrebbero essere offuscati dal sentimentalismo. Trattando un caso del genere, un giudice disse:

“Non è raro che ex-membri dichiarino di soffrire di problemi emotivi o psichici, ma in genere essi sono lievi, di natura non specifica e da un lato riconducibili a problemi che esistevano prima di aderire al movimento, e dall’altro canto non sono altro che difficoltà di adattamento, e di conseguenza, dal nostro punto di vista, non c’è necessità di misure di protezione”. (Il giudice di uno studio commissionato – Witteveen Tobia: Epilogue and Summary 1984 pp.317,318)

Sorge un’altra domanda importante, perché non si è parlato delle sofferenze della mamma? Secondo voi, quella mamma, soffrì per la disassociazione della figlia? Certamente, la disassociazione fa soffrire profondamente non solo che è stato disassociato ma anche l’intera famiglia. (Per maggiori informazioni sulla disassociazione, vedi l’articolo “La Disassociazione“)

Pertanto, anche la mamma ha sofferto e crediamo che tutt’ora soffre per la disassociazione della sua figlia. Provate a chiedere ai testimoni di Geova che vengono a trovarvi la domenica mattina la seguente domanda:

“Se un tuo famigliare dovesse essere disassociato dalla congregazione, saresti felice? Lo odieresti?”

Per amore dell’argomento, abbiamo chiesto ad un testimone di Geova, che ha un figlio dissociato dalla congregazione, alcune domande. Ecco le sue risposte.

Domanda: Tuo figlio è stato dissociato, che sentimento provi verso di lui? Lo odi?

Risposta: Stai scherzando! Come faccio ad odiare il mio proprio figlio che ho allevato per anni?

Domanda: Lo hai mandato fuori di casa?

Risposta: No. Vive in casa con me.

Domanda: Provvedi ai suoi bisogni?

Risposta: Certo, finche vive nella mia casa, provvederò ai suoi bisogni materiali, emotivi e spirituali se è possibile.

Domanda: Sei d’accordo con la sua scelta di vita?

Risposta: Certo non posso obbligarlo a fare quello che voglio. Ormai è una persona adulta ed è libera di fare quello che vuole anche se non sono d’accordo con il suo stile di vita.

Domanda: Hai detto che tuo figlio è libero di fare quello che vuole?

Risposta: Ho capito cosa vuoi dirmi. Mio figlio è libero di fare quello che vuole entro un certo limite. Per esempio, a lui piace fumare. Gli ho chiesto “gentilmente” di non fumare in casa. Così, quando ha voglia di fumare, esce fuori e fuma. Per cui dobbiamo rispettarci a vicenda. La sua libertà non deve andare oltre certi limiti proprio come la mia libertà non deve andare oltre.

Domanda: Tuo figlio ti odia.

Risposta: No, assolutamente no. Certo, ha scelto la sua vita ed è molto diversa dalla mia, ma ci rispettiamo e ci trattiamo civilmente.

Domanda: Tuo figlio ha sofferto a causa della dissociazione.

Risposta: Sì, ad ogni modo ha chiesto lui di essere dissociato. Adesso ha la sua vita lontana dalla congregazione, ha nuovi amici e ha la ragazza e non soffre più. Se lo vedo soffrire cerco di aiutarlo.

Domanda: Come considera tuo figlio questo provvedimento? (cioè che non deve avere rapporti amichevoli con i suoi ex-fratelli)

Risposta: All’inizio non considerava corretto questo provvedimento. Aveva molti amici nella congregazione e gli dispiaceva perderli. Ma sapeva e sa ancora che nessuno di loro lo odia. Gli dico sempre che i suoi fratelli sperano di rivederlo di nuovo nella congregazione per uscire insieme.

Domanda: Tuo figlio odia i testimoni di Geova?

Risposta: Assolutamente No. Spesso, quando qualche suo amico parla male di loro si arrabbia moltissimo e li difende. Solo che non vuole seguire ciò che dice la Bibbia. Vuole essere libero da impegni. È la sua scelta.

Domanda: Ti piacerebbe vedere di nuovo tuo figlio un testimone di Geova?

Risposta: Che domanda sciocca che mi fai, certo che mi piacerebbe, sarebbe un sogno!

Molte opere si vantano di presentare studi molto articolati sulla psicologia dei testimone di Geova. Questi studi vorrebbero dimostrare quanto segue:

  • Chi diventa un testimone di Geova è perché insoddisfatto della sua vita.

  • Chi diventa un testimone di Geova è perché delusa della sua religione, della società o della famiglia.

  • Chi diventa un testimone di Geova è considerato un indizio della presenza di qualche disturbo mentale.

Quest’ultima affermazione benché va oltre la realtà è molto diffusa. A volte il fatto stesso che una persona sia entrata a far parte della congregazione cristiana dei testimoni di Geova è considerato un indizio di debolezza o e di sofferenze psichiche. Ad essere sinceri, in questo non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Spesso le persone che credono in cose che gli altri considerano strane o sbagliate sono state bollate come pazze.

Ma chi ci dice che le sofferenze di alcuni testimoni di Geova non sono causate proprio da queste pressioni esterne? L’esperienza citata all’inizio dimostra chiaramente che la signora è stata “sensibile” alle parole magiche e ai persuasivi discorsi dei cosiddetti “studiosi”, ex-testimoni di Geova e organizzazioni antisette.

Facciamo un esempio per capire meglio questi casi. Le sofferenze e il timore di alcuni testimoni di Geova di professare la propria religione, in realtà, spesso è dovuto al pregiudizio che molte persone hanno nei loro confronti. Non sono anche queste cause di sofferenze? Provate solo ad immaginare se alcuni bambini in una scuola dovessero prendere in giro un bambino testimone di Geova. Di chi sarà la colpa delle sofferenze di questo bambino testimone di Geova? Della sua religione? Dei suoi genitori? O a causa delle pressioni esterne? Quindi c’è da dubitare e riflettere seriamente sulla professionalità di questi studiosi in quanto hanno deliberatamente trascurato un aspetto molto importante nella loro ricerca sulle sofferenze e sulla psicologia dei testimoni di Geova. Perché non hanno mai affrontato e preso in seria considerazione il problema della pressione psicologica esterna a cui sono sottoposti i testimoni di Geova?

Si può affermare che a volte alcuni soffrono davvero, ma questo emerge in particolar modo quando vengono giudicati secondo criteri che discostavano dalle loro convinzioni religiose. La società in generale, studiosi e oppositori potrebbero dirigersi lungo una strada pericolosa quando incominciano a considerare strani, sofferenti e pericolosi i membri di una certa religione sulla base della loro ideologia o fede religiosa.

Praticamente non esiste assolutamente nessuna prove concreta del fatto che la religione dei testimoni di Geova conduce alla sofferenza più delle altre, siano esse persone religiose o non. Due ricercatori del Medical Center della University of California, Los Angeles (Due ricercatori del Medical Center della University of California Cluts, di John Clark. Journal of the American Medical Association. 242/243-1979, p. 279-281), esaminarono 50 persone che facevano parte, o avevano abbandonato, un nuovo movimento religioso. Ecco la loro conclusione:

“La capacità di affrontare e/o gestire i problemi variava nei diversi soggetti, ma tutte le reazioni rientravano nella norma. Dagli esami relativi alla loro condizione intellettuale e mentale, e alla loro personalità, non sono emersi dati secondo cui questi soggetti sono incapaci, o addirittura hanno un’abilità limitata di prendere decisioni sensate. Anzi, nei test tutti i gruppi hanno rivelato un normale livello intellettuale“.

Anche il rapporto del governo olandese sui nuovi movimenti religiosi concluse:

“In generale i nuovi movimenti religiosi non costituiscono una reale minaccia alla salute mentale dei cittadini.“

I casi di sofferenza all’interno dell’organizzazione dei testimoni di Geova verificatisi dopo l’adesione spesso hanno dimostrato che qualcosa non funzionava prima della conversione, o a causa di pressione dall’esterno nelle quali probabilmente l’organizzazione non c’entrava per nulla. La sociologa Eileen Barker ribadisce:

“Anzi a volte un’atmosfera calma e rassicurante, in cui vengono fornite direttive chiare e precise, può aiutare una persona ad andare avanti, mentre si era sentita incapace di farlo “nel mondo esterno”. Infatti ci sono prove che suggeriscono che sotto molti aspetti alcune persone possono vivere meglio in seguito alla loro adesione ad un movimento.” (Ibid. pag.184)

Un’attenta analisi quindi, mostra chiaramente che gli oppositori si avvalgono di queste esperienze negative che si verificano raramente nell’organizzazione come paravento per combattere la loro guerra personale contro qualcosa che essi stessi considerano sbagliato e non perché lo sia veramente.

Ciò suggerisce la seguente domanda: Che effetto potrebbero avere queste accuse e queste esperienze negative sui testimoni di Geova? “È probabile che non si ottenga altro che confermare l’idea che dall’esterno la gente distorca la “verità” o non la sappia riconoscere” dice la sociologa Eileen Barker nel suo libro “I nuovi movimenti religiosi” (pag.184). Quindi, quello che oppositori e critici sperano di ottenere potrebbe avere l’effetto contrario, cioè potrebbe rafforzare la fede dei testimoni di Geova nella loro organizzazione e accrescerla.

Per terminare la nostra trattazione sulle presunte esperienze negative causate dall’organizzazione dei testimoni di Geova, concludiamo con il pensiero del famoso filosofo Voltaire che possiamo considerare un insegnamento valido per tutti:

“Sono contrario alla tua religione, ma combatterò sino alla morte affinché tu ne abbia il diritto di professarla, o di propagarla”.

Perciò se Voltaire fosse stato un ex-testimone di Geova (come Raymond Franz o come la donna menzionata all’inizio), non avrebbe di sicuro scritto quell’esperienza o l’avrebbe scritta in un altro modo. Prima di bollare i testimoni di Geova come malvagi bisognerebbe fare un esame di coscienza e valutare ciò che si legge. Nessun serio sociologo ci giudicherebbe in base all’esperienza negativa della signora, come vorrebbe invece dimostrare Raymond Franz nel suo libro “Alla ricerca della libertà cristiana“. È evidente che la libertà che vorrebbe offrire è una libertà illusoria e senza fondamento.