APPENDICE:

L'OMOFOBIA NELLE DICHIARAZIONI DEL CLERO CATTOLICO


Articolo principale: I TESTIMONI DI GEOVA SONO OMOFOBI?


Avvertenza: in questa appendice le fonti delle citazioni sono riportate in maniera sintetica. Per reperirle in forma completa, fare riferimento alla seguente discussione del forum tdgonline: link.

Riproponiamo la domanda di partenza: si può classificare l’Organizzazione di Geova come ‘comunità omofoba’ anche solo in senso lato? A chi, malgrado tutto, fosse rimasto ancora qualche dubbio, gioverà gettare uno sguardo sulla Chiesa Cattolica Romana, la religione d’ispirazione cristiana più diffusa al mondo: questa breve parata renderà per confronto la precedente definizione, se possibile, ancora meno plausibile.

Sarebbe facile provocare una superficiale esecrazione analizzando i ‘secoli bui’ della Chiesa. Può indignare l’apprendere che Pio V definisse i rapporti omosessuali “un così grave flagello” e parlasse di “contagio”, di “nefasto crimine” e di “abisso”, consegnando gli omosessuali all’autorità secolare e ai relativi supplizi (Costituzione Horrendum illud scelus, 1568, Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33): interviene, rapida e provvidenziale, la ‘pezza’ del contingente oscurantismo a coprire e ridimensionare gli effetti di queste censure, che ad un osservatore odierno – e solo a lui – apparirebbero oltremodo intransigenti o crudeli. Per tacere poi dei tribunali dell’inquisizione spagnola, che comminavano agli omosessuali specifiche torture come la ‘sega’ e la ‘pera’, sulle cui raccapriccianti modalità di esecuzione preferiamo sorvolare (ai più curiosi basterà una rapida ricerca in Internet).

La ‘sega’ e la ‘pera’, due strumenti di tortura utilizzati dall’inquisizione cattolica (secolo XV) nei processi a carico degli omosessuali .

Non è però necessario andare così lontano nel tempo per trovare traccia di analoghi marchi d’infamia. Molte dichiarazioni pubbliche di ecclesiastici contemporanei, appartenenti anche ai gradi più elevati della gerarchia, riflettono un atteggiamento che va oltre il doveroso richiamo ai principi morali, non di rado sconfinando nel fondamentalismo vero e proprio.

Omosessualità e intolleranza cattolica:

ieri e oggi

Iniziamo dalla ‘testa’ dell’organizzazione: il pontefice. I più recenti papi non hanno perso occasione di esprimere una netta contrarietà alle relazioni omosessuali. Ad esempio, nel 2000, Giovanni Paolo II definiva il Gay Pride (storica manifestazione pubblica in difesa dei diritti omosessuali) “un’offesa ai valori cristiani” e le tendenze omosessuali “una inclinazione oggettivamente disordinata”. “Gli atti di omosessualità sono contrari alla legge naturale”; per cui la Chiesa ha, secondo Papa Wojtyla, il dovere di ‘non tacere la verità’ aiutando i fedeli a distinguere il bene dal male (Repubblica.it, articolo del 09/07/2000).

Gli ha fatto eco il suo successore, Joseph Ratzinger, salito al soglio pontificio nel 2005 con il nome di Benedetto XVI. In una occasione ha criticato i progetti di legge sui matrimoni gay, rilevando come ‘la libertà non può essere assoluta’. “Il cammino da seguire non può […] essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore” (Adnkronos.com). Difficilmente un osservatore imparziale ravviserebbe indizi di fanatismo in dichiarazioni come queste – pur nette – specie se paragonate a sortite ben più “prosaiche” come quelle che saranno documentate fra poco, ma a quanto sembra i diretti interessati sono di diverso avviso. Nel 2007, ad esempio, sulla scorta del veto posto da Papa Ratzinger all’ufficializzazione delle unioni gay, l’organizzazione non governativa Human Rights Watch ha inserito Benedetto XVI nella classifica dei “leader che usano la loro autorità per negare diritti umani di base”. (HRW, 15/05/2007).

Abbastanza equilibrato, ma inequivocabile, anche Raffaello Martinelli, vescovo di Frascati, il quale pur parlando di “giusta tolleranza verso le persone omosessuali”, dichiarava l’atto omosessuale “peccato gravemente contrario alla castità. […] In nessun modo può essere approvato.” Nel rimarcare la totale contrarietà della Chiesa alla legalizzazione delle unioni gay e alla possibilità che coppie omosessuali allevino dei bambini, mons. Martinelli ha definito l’omosessualità un “comportamento deviante” e le unioni gay ‘nocive per il retto sviluppo della società umana’. (Zenit.org, articolo del 22/02/2007). Dal canto suo l’arcivescovo Ersilio Tonini, noto per le frequenti apparizioni televisive, ha definito “una grande, enorme, immensa sciagura” la presenze di omosessuali nella Chiesa e ha detto che ‘forse è opportuno il ricorso allo psicologo’. (Cardinalrating.com, articolo del 16/12/2005). Dichiarazioni franche (o grezze, secondo i punti di vista) che sembrano fare il paio con quella di mons. Simone Scatizzi, vescovo di Pistoia, il quale, nel motivare il veto della Chiesa a impartire il sacramento della comunione ai gay conclamati, ha liquidato così la questione: “L’omosessualità in quanto tale è un disordine e su questo non ci sta discussione.” (voceditalia.it, articolo del 06/02/2010).

Ma l’omosessualità non è forse una condizione naturale, innata, esattamente come l’eterosessualità? Molti credono di sì. Il mondo scientifico non è unanime sull’argomento, e la WTS, come si è notato, prudentemente non esprime certezze al riguardo. Non è invece di questo avviso il cardinale Javier Lozano Barragán, arcivescovo messicano, per il quale “non si nasce omosessuali, ma lo si diventa […] Agendo contro la dignità del corpo, certamente non entreranno nel Regno dei Cieli, perchè tutto quello che consiste nell’andare contro natura e contro la dignità del corpo offende Dio” (bolognanotizie.com, 03/12/2009).

Mons. Babini sui gay: ‘turpi’,

‘molestano la vista’, ‘meritano l’inferno’

E veniamo a mons. Giacomo Babini, vescovo emerito di Grosseto. Questo prelato è una fonte inesauribile di ‘perle’ antigay, la cui gravità lasciamo al giudizio di chi ci legge, riportandone qualcuna. Nel commentare la possibilità di impartire la Comunione a Nichi Vendola, deputato cattolico e gay dichiarato, Babini ha detto fra l’altro “Mi fa ribrezzo parlare di queste cose e trovo la pratica omosessuale aberrante”. L’omosessualità è un “vizio contro natura” e un “orribile difetto”. (Pontifex.roma.it). In una circostanza in cui gli si chiedeva un parere su episodi di pestaggi di cui erano stati vittime alcuni gay, sorpresi a scambiarsi effusioni in pubblico, pur prendendo ovvie – quanto formali – distanze da tali violenze, ha voluto aggiungere una sua personale spiegazione del fenomeno: le intimità gay “molestano la vista. … queste esibizioni danno noia e finiscono col provocare” (NotizieFresche.info) Un’altra volta ha detto a proposito dei sacerdoti gay: ‘meritano di finire la loro vita all’Inferno‘. “Una vera perversione contro natura“, “viziosi e perversi“, dovrebbero essere messi “in gattabuia” a meditare sul proprio peccato. Babini ha qualificato la pratiche omosessuali fra preti come peggiori della pedofilia; i sacerdoti gay sessualmente attivi sono indegni di vestire la tonaca per le loro abitudini ‘oscene’ e ‘turpi’. (Pontifex.roma.it)

Solo una spiacevole eccezione? Purtroppo i fatti indicano altrimenti. Alberto Suárez Inda, vescovo messicano, ha paragonato i gay ad animali o peggio, se è vero che “nemmeno i cani fanno sesso fra due esemplari dello stesso sesso”. E ancora, Odo Fusi Pecci, vescovo emerito di Senigallia, “Quella composta tra due persone dello stesso stesso, non si può mai considerare una famiglia, neppure minore o atipica. È una aberrazione, una cosa orripilante, che va contro il progetto di Dio. […] L’omosessualità è un disordine, una devianza ed una patologia. L’omosessualità, quando sconfina poi in atti concreti e ripeto, aberranti, ci esclude dal regno dei cieli. L’omosessuale che dia impulso sfrenato ed incontinente alle sue passioni, va chiamato con il suo vero nome: peccatore, e ancora peccatore.” (arcigaymodena.org).

Da rilevare, oltre al tono generalmente tutt’altro che caritatevole, il reiterarsi di apprezzamenti dal ‘sapore’ clinico (patologia, devianza, disordine mentale, consigliabile interpellare uno psicologo etc.), con l’aggravante però di essere ritenuta non solo una malattia, ma anche una malattia voluta e favorita dal comportamento lascivo dei singoli. Come si è osservato nell’articolo precedente, niente del genere è riscontrabile nelle pubblicazioni della Società Torre di Guardia né tantomeno in dichiarazioni di testimoni di Geova ‘di spicco’, quali sorveglianti viaggianti o membri del Corpo Direttivo; molti sono invece i tentativi per parte del clero cattolico di ‘medicalizzare’ l’omosessualità, talvolta ricorrendo a raffronti a dir poco discutibili. Così A.M.Leonard, arcivescovo di Malinas-Bruselas, ha paragonato l’omosessualità all’anoressia (aggiungendo che i gay “soffrono di un blocco nel normale sviluppo psicologico”) (gaywave.it, 27/01/2010), il card. Tarcisio Bertone, segretario di stato Vaticano, alla pedofilia (repubblica.it, 13/04/2010), e Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, addirittura alla necrofilia (corriere.it, archivio storico, 01/03/1994). Associazioni di settore (gaywave.it, gay.tv) hanno pure denunciato il caso del sacerdote John Hollowell, il quale nel corso di lunghe lezioni (diffuse anche in Rete) ha stigmatizzato – e incoraggiato i suoi studenti a stigmatizzare – la condizione dei gay come ‘malattia da curare’ o peggio.

Discorso a parte merita Tony Anatrella, che alla sua condizione di sacerdote gesuita aggiunge una solida esperienza da medico psichiatra. Le sue opinioni suonano certo meno grossolane e hanno il pregio di un accento professionale, ma ugualmente non brillano per benevolenza: l’omosessualità è “l’espressione di una tensione all’interno di una tendenza in discontinuità con l’identità sessuale” ed “è fondata su una fascinazione narcisistica di sé e del rapporto con l’altro”. Anatrella è inoltre convinto che “esistono due sole identità sessuali, quella maschile e quella femminile”. (La Voce di Fiore, “Omosessualità, parola da chiarire”, 21-02-2006).

Se i riferimenti a presunte tare psichiche si sprecano, non si lasciano desiderare nemmeno i giudizi di carattere squisitamente sociale. Si va da mons. Betori, arcivescovo di Firenze e a suo tempo segretario generale della CEI, che ha instaurato un paragone con “le truppe di Federico Barbarossa, che nel 1155 cinsero d’assedio la cittadella cristiana di Gubbio” (repubblica.it, articolo del 16/05/2007), a Vincenzo Franco, arcivescovo emerito di Otranto, che ha parlato di “condizione da rifiuti sociali, ingestibile e senza alcun commento” (giornalettismo.com, 13/08/2010). Giovanni Battista Pichierri, arcivescovo di Trani, definisce ‘mostruosa’ la possibilità che le coppie gay adottino bambini (versione elettronica de Il Giornale di Trani, articolo del 31/08/2010) e mons. Giuseppe Agostino, arcivescovo emerito di Cosenza, per il quale l’omosessualità è “una vera aberrazione”, dice che “lo Stato non ha il diritto di tutelare associazioni” gay proprio come non tutelerebbe quelle di ladri o rapinatori (pontifex.it). Infine, monsignor Serafino Sprovieri, vescovo emerito di Benevento, nel contestare le dichiarazioni di Mara Carfagna, che nel 2010 – da Ministro delle Pari Opportunità – aveva definito il gay pride ‘manifestazione gioiosa’, rivendica il “diritto a protestare per queste cose insensate e fuori ogni logica”; e chiosa: “siamo nella cloaca”. (pontifex.it)

La WTS condanna peraltro, e anche questo si è regolarmente dimostrato, i soli atti omosessuali, desistendo accuratamente da giudizi indirizzati all’attrazione omoerotica in sé. Anche qui non è difficile trovare traccia di opinioni antitetiche di fra il porporato della Chiesa Cattolica. Per esempio secondo Zenon Grocholewski, Gran Cancelliere della Pontificia Università Gregoriana, non dovrebbero essere ordinati sacerdoti con tendenze gay: un candidato al sacerdozio, pur senza praticare necessariamente l’omosessualità, ”se ha una tendenza (omosessuale) radicata, non può essere ammesso in seminario”. Perché mai? ”Perché l’omosessualità è una deviazione, una irregolarità, una ferita per poter esercitare il sacerdozio, che consiste anche nell’essere un padre spirituale e nel sapersi relazionare con gli altri”.” (papanews.it).

Dov’è la vera omofobia?

Altro ecclesiastico a cui decisamente non fa difetto la schiettezza è Gustaaf Joos, cardinale belga. Pur asserendo, con apparente obiettività, che “la Chiesa respinge l’omosessualità, non l’omosessuale”, è convinto che “di tutti coloro che si definiscono lesbiche o gay, al massimo il 5 o il 10% sono effettivamente tali, tutto il resto sono solo pervertiti sessuali“. E, per sovrammercato, una minacciosa postilla: “Sono disposto a scriverlo col mio stesso sangue”, dice. Ma nemmeno il giudizio riservato a quel 10% ‘superstite’ è, ahimé, particolarmente lusinghiero: si tratterebbe infatti di “persone che hanno un problema serio e [che] devono conviverci” (fattisentire.org, 28/01/2004). Viene da chiedersi perché mai i detrattori sprechino tante energie setacciando il greto dei fiumi d’inchiostro della WTS alla ricerca di ‘pagliuzze’ omofobe, quando con un investimento molto meno oneroso in termini di tempo e fatica è possibile rinvenire di queste ‘pepite’ negli altisonanti proclama del clero cattolico.


In qualche caso le pepite si presentano in forma di massicci conglomerati, come per don Marcello Stanzione, fondatore dell’associazione cattolica Milizia di San Michele Arcangelo, con il quale chiudiamo questa edificante rassegna stampa: commenti di rara perentorietà, che sconfinano nel politico, oltre che – ancora – in tentativi di denuncia sociale e – ancora – di interpretazione psico-patologica del fenomeno gay. “La falsa idea che l’omosessualità sia una opzione normale della realtà sessuale è una opinione erronea oggi molto diffusa grazie ad una propaganda quasi quarantennale di potentissime lobby omosessualiste. Attraverso internet, la televisione, i giornali e una cattiva educazione sessuale si è riusciti a creare una opinione pubblica non ostile alla pratica omosessuale in base alla quale chi sostenga il contrario viene liquidato come intollerante, retrogrado, sessuofobo, roba da medioevo, da mandare appunto dietro le sbarre perché reo del crimine do omofobia e di conseguenza diviene il bersaglio favorito dai mass media. La verità è che l’omosessualità è una condizione patologica che ostacola lo sviluppo integrale della personalità. E’ interessante che in tempi di psicologismo imperante, la lobby omosessualista fa tutto il possibile affinché non si sappia in giro che i tre grandi pionieri della psicanalisi e della psichiatria – Freud, Jung e Adler – erano concordi nel considerare l’omosessualità come una grave patologia comportamentale. Attualmente il concetto di omosessualità come malattia mentale è scomparso dai manuali psichiatrici e questo è stato un vero e proprio colpo di mano antiscientifico ed ideologico della lobby omosessualista perché in tal modo si vuole ingannare le masse inducendo l’idea che l’omosessualità sia una realtà naturale, normale, innata di una persona e determinante il comportamento sessuale, facendo credere che tali si nasca. In realtà è stato provato esattamente il contrario: i fattori genetici ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo dell’omosessualità perché essa è un fenomeno prettamente psico-affettivo e come tale va curato.” E conclude: “Gli omosessuali purtroppo sono sempre esistiti e sempre esisteranno ma non hanno alcun diritto e le loro rivendicazioni sociali devono essere tenute in nessun conto.” (pontifex.it)

Insomma, il quadro è decisamente chiaro e inequivocabile: fra omosessuali ‘turpi’, paragonati a cani o barbari, fra associazioni d’idee con pedofilia e necrofilia, gay da psicanalizzare o ‘chiudere in gattabuia’, e ai quali negare di preferenza anche i più elementari diritti umani, ce n’è per tutti i gusti. Speriamo che questo deprimente florilegio di ‘encomi’ induca gli osservatori imparziali a distogliere l’attenzione dai testimoni di Geova, il cui apostolato, ispirato all’interesse per il prossimo, non ha mai avuto in programma il sommergere i gay di oltraggi, e a soffermarla laddove – i fatti parlano chiaro – esiste invece più di una ragione di sospettare la presenza di ideologie intolleranti e oltranziste.